Mia figlia Livia, che poi è anche il mio referente per le informazioni sul mondo dei più piccoli, qualche giorno fa mi ha chiesto di guardare insieme a lei Frozen II. Noi, io e lei intendo, di solito non guardiamo la tv, ci vediamo poco, vive gran parte del tempo con la madre, quindi quando siamo insieme, preferiamo fare altre cose. Lo stato di emergenza attuale, tuttavia, ha contribuito a infrangere molte routine, comprese le nostre, quindi, ho acconsentito alla sua richiesta.
Sorvolerò sul fatto che, almeno per quanto mi riguarda, la Disney non fa niente di buono dal 2000 quando diede in pasto alle sale quella genialata di: The Emperor’s New Groove (Le follie dell’imperatore) e mi limiterò a raccontare che mentre sonnecchiavo sul divano (su di me i musical hanno un effetto soporifero) e lei mi tirava gomitate nelle costole per tenermi sveglio, il mio cervello in modalità pilota automatico ha captato una vocina che diceva: “…È la memoria dell’acqua!”.
A parlare era un pupazzo di neve. Olaf, così si chiama la creazione (e braccio destro) di Elsa, stava spiegando a uno squinternato gruppo di personaggi che l’acqua ha una proprietà particolare: “…essa può mantenere il ricordo delle sostanze con cui è venuta in contatto…”. Olaf, che per tutti è lo stupidotto del gruppo, andava oltre, raccontando che l’acqua contenuta in un corpo (per esempio nel mio) una volta evaporata o espulsa in altro modo, può portare memoria di quel corpo, ovunque essa vada (memoria intesa come DNA). In altre parole, ciò che ingloberà le molecole di acqua che erano contenute nel mio corpo, avrà una parte di me dentro di sé.
A quel punto mi sono svegliato definitivamente e ho sorriso. La cosa ha attivato la mia attenzione, perché al di là della visione poetica, questo pensiero espresso dal pupazzo di neve, è un concetto base dell’Omeopatia e delle cure omeopatiche. Esse sono fondate sull’idea che se prendiamo un principio attivo e lo diluiamo in una certa quantità d’acqua, con un processo che prevede un’agitazione (denominato “succussa”), l’acqua manterrà le proprietà di quel principio attivo e queste diverranno più forti con l’aumentare del numero di diluizioni. Quindi più si diluisce, più l’acqua diventa potente. Allo stesso tempo però voglio far notare che, come chiunque abbia imbiancato una parete sa (diluendo vernici e acqua), ogni volta che si ripete il processo di diluizione, si riduce, fino a scomparire completamente, il principio attivo inserito all’origine. I farmaci omeopatici sono creati così.
Non ho sorriso, tanto per il legame tra Olaf e l’omeopatia, non fosse quantomeno che la Disney vendendo questa idea, lo avrebbe potuto rendere, intellettualmente parlando, una sorta di genio, in quanto composto prevalentemente di acqua arrivata nei modi più disparati a portargli informazioni di vario tipo. Ho sorriso perché di questa teoria della memoria dell’acqua, se ne era occupato anche Luc Montagnier (unica referenza scientifica dell’Omeopatia). Sì, proprio il premio Nobel che qualche giorno fa ha rilasciato una dichiarazione controversa su come, secondo lui, il Covid-19 sarebbe uscito da un laboratorio Cinese. Lungi da me, criticare un eminente scienziato, mi limiterò a dire che la scienza, quella stessa scienza da dove proviene e di cui fa parte, lo ha smentito adesso e allora, quando pubblicò il suo lavoro sulla memoria dell’acqua. I suoi risultati scientifici infatti, non sono mai stati replicati e anche per questo gli scienziati, al massimo riconoscono all’omeopatia qualche merito di effetto Placebo.
Per concludere, sono uno che crede molto alle sincronicità nel senso Junghiano del termine e ho apprezzato questa connessione temporale tra Olaf, l’omeopatia, Montagnier e indirettamente il Covid e non ho potuto fare a meno di parlarne. Cavolo, devo assolutamente andare a prendere mia figlia. Dove diavolo ho messo le chiavi dell’auto? Non me lo ricordo più, dove sono? Accidenti a me, anche l’acqua ha memoria e io non mi ricordo mai un beepppp.