Sono fermo su una delle arterie più trafficate della città. Intorno a me, un blocco di auto incredibile, mi impedisce di avanzare da circa tre quarti d’ora. Scrivo questo post un attimo dopo aver chiuso il finestrino, acceso la radio e l’aria condizionata. Il vetro l’ho dovuto chiudere perché, oltre al rumore dei motori, dei martelli pneumatici in un cantiere stradale e degli strombazzamenti di autisti incivili, che non riescono a concepire il fatto che a volte si creino semplicemente degli ingorghi, un bambino che camminava sul marciapiede mano nella mano con sua madre, si era messo a strillare per un capriccio, riuscendo con i suoi acuti a sovrastare tutti gli altri rumori intorno a me. Insostenibile.
Non appena il vetro chiudendosi ha attutito i suoni esterni, subito ho percepito l’aumento del calore all’interno dell’abitacolo, così ho acceso il climatizzatore e avvicinando il mio viso all’aria fresca, ho chiuso gli occhi e sono stato catapultato direttamente in Valtellina. I rumori al di là del vetro, tuttavia, facevano sì che il mio sogno non fosse così realistico e per questo motivo, ho acceso anche la radio. Ho premuto molte volte il bottone per passare in rassegna le varie emittenti disponibili, prima di riconoscere il sax di John Coltrane, trasmesso proprio in quel momento da Jazz Radio. Ho alzato il volume, il rumore del traffico è completamente scomparso, ed io mi sono immaginato disteso su una sdraio al sole, sulla terrazza di qualche albergo sperduto tra le alte montagne.
I fraseggi di John e il suo sax hanno contribuito a farmi rilassare rapidamente e solo in quel momento in cui lo stress da traffico si è attutito, ho sentito il desiderio impellente di scrivere questo post, soprattutto sull’onda di una questione che prima o poi è passata nella mente di tutti quanti gli automobilisti: Ma dove cavolo finiscono gli ingorghi? Io me lo chiedo spesso, soprattutto quando, incolonnato da ore nel traffico, come per magia vedo le auto di fronte a me accelerare e in qualche secondo, mi ritrovo su una strada completamente libera, mentre mi chiedo ancora: Ma dove cavolo finiscono tutti quanti?
Devo ammetterlo, penso a tutto questo proprio adesso, perché desidero ardentemente, che questo ammasso di metallo, oli, carburanti, gomma, plastica, in movimento lento come un grande serpente al sole, sparisca dalla mia vista e io possa finalmente raggiungere la mia meta.
Un clochard mi ha appena bussato allo specchietto per chiedermi qualche spicciolo, sul cartello oltre alla caratteristica frase Ho fame c’era anche scritto: Non ho il covid. L’uomo indossava anche una mascherina, il virus ha veramente cambiato le nostre vite, penso.
Chiudo gli occhi ancora qualche minuto e mentre alla radio un assolo di batteria interrompe il sax di John, percepisco un clacson lontano. Apro gli occhi, un’auto dietro di me sta suonando incessantemente, il suo autista smanetta con il braccio fuori dal finestrino. Guardo davanti a me, l’ingorgo è quasi completamente scomparso, riparto.
Sono arrivato a destinazione e adesso concludo questo post al fresco del mio garage, un attimo prima di salire in casa. Alla fine, una volta che l’ingorgo, è misteriosamente scomparso, sono arrivato a casa molto rapidamente. Con un po’ di malinconia ripenso alle strade completamente vuote durante la quarantena, quando salivo in auto e attraversavo la città tranquillamente, in pochi minuti, senza pormi il problema di dove finissero le code, senza chiedermi dove fossero spariti tutti quanti, perché già lo sapevo. Esco dalla vettura di cortesia, che la carrozzeria dove ho portato la mia auto a riparare mi ha gentilmente concesso, già, perché durante quel periodo paradisiaco di strade libere, senza traffico, sono rimasto comunque vittima, di uno dei pochi incidenti avvenuti in città. Sorrido e guardando quel mezzo scuoto la testa, la perfezione non esiste, penso e salgo su in casa per prepararmi qualcosa da mangiare.