La verità è che ieri sera sono andato a letto con la voglia di scrivere un post su Brad Pitt e la sua incredibile mania di mangiare sul set dei film che interpreta (ho rivisto di recente Burn after reading dei fratelli Coen), ma nell’arco della mattinata, la playlist di youtube mi ha regalato Bobo Rondelli quindi il bellone di Hollywood dovrà aspettare un po’, mi par giusto dar la precedenza al grande Livornese. Se penso a qualcosa di bello, che ho avuto la fortuna di vedere e ascoltare in questo terribile duemilaventi, subito mi viene in mente la sua interpretazione, in coppia con Irene Grandi, dell’immenso pezzo di Franco Califano e Nisa (Nicola Salerno): La musica è finita.
Vabbé Franco Califano non ha bisogno di presentazioni, perché è probabilmente uno dei più grandi parolieri mai nati sul suono italico, sue sono infatti: La nevicata del 56, Minuetto (interpretate da Mia Martini), La musica è finita, Sto con lui (interpretate da Ornella Vanoni), E la chiamano estate (interpretata da Bruno Martino) e poi ancora: Tutto il resto e noia, La mia libertà e Un tempo piccolo (interpretate da se stesso e l’ultima anche dai Tiromancino), insomma il mitico Franco ci ha fatto sognare un sacco di volte. Nicola Salerno in arte Nisa invece, forse ai più giovani risulterà quasi sconosciuto ma è colui che ha scritto le parole di alcuni dei più bei brani di Renato Carosone, come: Tu vuò fa l’Americano, Torero, O’ Sarracino, Pigliate ‘na pastiglia e Caravan Petrol, insomma, uno che sul finire degli anni cinquanta era già un pezzo avanti.
Tornando al brano in questione invece, non c’è niente da fare, quando Bobo interpreta questo tipo di canzoni è come se venisse da un altro universo, da un mondo che oramai non esiste più. Il suo timbro vocale e i suoi modi di fare sono talmente antichi che quando interpreta brani storici di colleghi, che spesso non ci sono più, sembra staccarsi completamente dal presente e diventare un’illusione del passato. Chi lo guarda ha quasi l’impressione di vedersi aprire una finestra su un mondo lontano che oramai possiamo rivedere solo attraverso video molto vecchi degli archivi Rai. Le parole, marcate dal suo timbro rude, appaiono allo stesso tempo musicalmente gentili e vengono da lui interpretate come se davanti al palco, nel buio della platea, ci fossero quei colleghi che hanno scritto il pezzo o che lo hanno interpretato, come se in quel momento li omaggiasse tutti. Va da sé, che attraverso quel gesto di riflesso omaggia anche il pubblico davanti a sé, regalando momenti incredibilmente toccanti. Di un poeta, cantautore e interprete così, bisogna davvero farne tesoro, come facciamo tesoro di tutte quelle cose belle che ci capitano nell’arco della nostra esistenza.
Ricordo un evento in particolare, al quale ho assistito proprio il giorno del mio compleanno di tre anni fa e che mi fece incredibilmente emozionare. Bobo era in concerto in piazza dei cavalieri a Pisa e nella scaletta era prevista La canzone dell’amore perduto di Fabrizio de Andre. L’introduzione al pezzo fu davvero emozionante e a grandi linee la ricordo ancora: io per esempio in questa piazza ho pianto, perché venni a vedere DeAndre e mi emozionò tanto. Ho pianto, con una canzone che ancora oggi mi fa piangere…e se volete adesso la cantiamo tutti in coro così sembrerà di essere a messa. È una sorta di canzone religiosa senza un dio dentro, dove l’unico Dio è l’amore…la canzone dell’amore perduto, che non smette mai di risbocciare. Finita la presentazione interpretò il brano e noi facemmo il coro. L’atmosfera fu talmente meravigliosa e profonda che sono sicuro di non esser stato l’unico a versare qualche lacrima in quel momento così incredibilmente toccante. Che dire, per quel che mi riguarda, se si stilasse, come fa il grande Allen in Manhattan, una lista delle cose per cui vale la pena essere nati e vivere, Bobo Rondelli può certamente essere una di queste. Se non lo conoscete…rimediate!