A volte lo stupore prende forma nel viso di un automobilista che assomiglia a David Lynch e che, attirando la mia attenzione con un ampio movimento del braccio, mentre mi dirigo verso la stazione del metrò ascoltando Desafinado di Antonio Carlos Jobim, mi fa segno di avvicinarmi. Vi lascio immaginare meglio, la strada sporca squarciata in due dall’ombra del cavalcavia autostradale, cartacce un po’ ovunque, un cassonetto dell’immondizia assediato da un divano sfondato, un frigorifero e una cucina a gas, io che cammino allegro con Jobim nelle orecchie, manco fossi sulla spiaggia di Copacabana e David Lynch che dall’interno di una berlina Mercedes color beige degli anni 80, non so dirvi il modello perché non sono un esperto, mi fa segno di raggiungerlo. Estraggo un auricolare dall’orecchio e attraverso la strada per raggiungere l’uomo, che gentilmente mi chiede di aiutarlo a far manovra per parcheggiare, visto che non vuole urtare l’auto. La osservo, il mezzo manca di un vetro laterale, miseramente sostituito con un pezzo di plastica ondulata, il paraurti posteriore cade, manca uno specchietto e anche uno dei due fari davanti, quello che dovrebbe apparire dal lato in cui mi trovo io. Sorrido, annuisco, mi metto di lato e aiuto lo strano tipo, Jobin che canta Aguas de Março insieme a Elis Regina in un orecchio, il suono della voce dell’uomo che a ogni manovra mi chiede conferma nell’altro. Ca va? Mi dice, io annuisco muovendo le mani come un direttore d’orchestra, ma la tentazione è irresistibile, ogni volta che mi guarda e parla lo immagino ripetere: The Owls are not what they seem (i gufi non sono quello che sembrano), quindi di conseguenza, quasi rido dietro gli occhiali da sole.
Riesce a parcheggiare l’auto in dieci minuti, un record, nemmeno la mia ex moglie raggiungeva tempistiche simili, poi mi ringrazia, mi dice di aspettare e si china sul sedile del passeggero. Mi chiedo cosa voglia, lui raccoglie da terra quello che subito dopo riconosco essere un pacchetto morbido di Marlboro rosse, le sigarette che fumavo fino a qualche tempo fa e me ne offre una. Rifiuto sorridendo e mi accingo a rimettere il secondo auricolare per poi riprendere il cammino, ma l’uomo mi afferra per il polso facendomi cenno di ascoltarlo. Inizia poi a parlarmi del paradiso e della vita dopo la morte, con un francese biascicato, rovinato dalla dentatura oramai ridotta al limite minimo per poter mangiare un semolino, dopodiché, vedendo il mio sguardo perso nel vuoto, la mia mente localizzata altrove in attesa che il sermone finisse e quindi potessi andarmene, l’uomo rinuncia e sorridendo mi porge una copia di La torre di Guardia, popolare rivista pubblicata dai Testimoni di Geova, ovviamente in francese, liberandomi dal giogo di una discussione che alle nove di mattina di un anonimo mercoledì di giugno, non avevo proprio voglia di iniziare. Ringrazio e rimettendo le auricolari nelle orecchie mi allontano con Aquarela do Brasil a fare da colonna sonora ai miei passi. En passant, appoggio il giornaletto, sulla quale copertina appare il disegno di una coppia di innamorati che giocano con un leone e una gazzella con la didascalia: Un paradiso è possibile, sulla cucina a gas arrugginita vicino il bidone dell’immondizia e mi allontano in direzione del metrò.
Nonostante l’incontro un po’ assurdo, non capita tutti i giorni di trovarsi faccia a faccia con il sosia sdentato di David Lynch per strada, è una bella giornata, c’è il sole, non sono a Copacabana, ma in questo periodo Marsiglia è una bellissima città. Indosso la mascherina obbligatoria, scendo nel metrò, Jobin sempre nelle orecchie, rifletto sull’organizzazione della giornata, poi mi volto e dietro di me ancora David che evidentemente prende il metrò. Mi guarda, alza il braccio in segno di saluto, in mano una copia del giornaletto, forse proprio quello che ho appena lasciato sul frigorifero, viene verso di me, il mio telefono squilla ed io trafelato rispondo e mi allontano. L’uomo prova ad avvicinarsi, il telefono perde campo, la chiamata si interrompe ma faccio finta di parlare fin quando arriva il treno. Aspetto che entri in un vagone, mi infilo in un altro, rimettendo il telefono in tasca e mi siedo. Davanti a me una donna in tailleur mi guarda, sorride sotto la mascherina, sulle ginocchia una borsetta di pelle verde e un pacco di giornaletti come quello appena ricevuto. Cazzo c’è un convegno dei testimoni di Geova a Marsiglia o l’universo mi sta dicendo qualcosa? Penso sprofondando sul seggiolino e sperando che non mi rivolga la parola. Per oggi ne ho abbastanza del paradiso.