Ricordo, ero uscito da scuola e avevo scoperto che mio nonno quel giorno era venuto a prendermi al posto di mio padre, con la sua Ape Piaggio verde a tre ruote. Era stato strano per me trovarlo al di fuori del cancello, appena uscito dal grande edificio, subito dopo il suono della campanella che aveva annunciato la fine della giornata. Ma lo stupore per la sua venuta era subito sparito, sostituito dalla felicità di fare una delle cose che amavo di più, salire sul rimorchio del suo mezzo e fare il viaggio seduto lì, piuttosto che nell’abitacolo stretto al suo fianco. Mio nonno accese il mezzo e partì, subito dopo essersi assicurato che fossi sul rimorchio al sicuro, l’Ape Piaggio fece un rumore incredibilmente forte, molto simile a quello dell’animale omonimo o più precisamente a quello di un calabrone. Ricordo che mio zio una volta, mostrandomi il simbolo azzurro e bianco posto davanti al mezzo, mi aveva spiegato che al suo interno era raffigurata un Ape, anche se anni dopo quando verso i quattordici anni feci una ricerca sui simboli utilizzati dalle aziende, scoprii che questa era una fantasia romantica degli amanti del mezzo.
Mio nonno si diresse verso casa sua, dove in quegli ultimi giorni avevo passato gran parte del mio tempo, in seguito al peggioramento delle condizioni di salute di mia mamma, ammalata di cancro al seno. La presenza di mio nonno e il viaggio in Ape mi fecero sentire il cuore leggero, nonostante il momento difficile, ma quel giorno avevo un altro motivo per essere felice, gli esami di quinta elementare erano finiti ed andati bene e cominciavo a sentir salire l’emozione per il passaggio alle medie, che sarebbe avvenuto il settembre successivo. Ricordo che scesi dal rimorchio non appena il mezzo si fermò davanti casa e lo scoppiettare del motore si arrestò, riportando il silenzio nella tranquilla via dove abitavano e dove in quel momento, tutti gli abitanti probabilmente stavano mangiando seduti alle loro tavole da pranzo, davanti alle loro televisioni, qualcuno probabilmente con la finestra aperta, visto che si poteva udire la voce di qualche giornalista intento a dare le notizie durante il telegiornale.
Nonno scese dall’Ape – Vado a casa a dire alla mamma che ho finito gli esami…poi torno! – dissi e lui guardandomi serio – No Claudio ora di sicuro la mamma dorme, vieni a casa, mangiamo e poi con calma vai e glielo dici… – rispose. Così mi strinsi nelle spalle e salimmo in casa, sul tavolo c’era il mio piatto preferito, le cotolette alla milanese con patate fritte e l’insalata di pomodori e cetrioli. Mi fiondai a tavola e cominciai ad ingozzarmi, nemmeno fossi stato un viaggiatore che non toccava cibo da mesi. Alla televisione Angela Lansbury era la signora Fletcher, come ogni giorno a mezzogiorno per quasi tutto il resto della mia giovinezza e anche oltre. Stavo finendo il mio pasto cercando di capire chi fosse l’assassino dell’episodio quando il campanello suonò e mio padre salì lento i gradini della scala e ci raggiunse in cucina. Forse sorrise nel vedermi, sinceramente il suo viso non lo ricordo, ma l’abbraccio sì, quello lo percepisco ancora. Mi prese la mano dicendomi che doveva parlarmi e mi portò nella camera adiacente alla cucina. Ricordo che un minuto dopo gridai scoppiando in lacrime e oggi a distanza di ventinove anni precisi, mi chiedo cosa pensarono i vicini che udirono quelli strilli dalle finestre aperte, cosa provò mio padre in quel momento, cosa pensarono i miei nonni seduti alla tavola della sala da pranzo, con il vino, l’acqua, le cotolette, le patate, l’insalata, le stoviglie sporche nel lavabo e la tovaglia ricamata bianca dei pranzi di tutti giorni, con gli aloni di vino rosso versato fuori dai bicchieri nei pasti passati e un sacco di pensieri e di tristezze che sgorgavano fuori dal loro corpo e intasavano le loro gole, rendendoli incapaci di esprimere anche un solo pensiero. A questo pensavo questa mattina, quando mi sono svegliato, in un presente letteralmente anomalo in cui la nostalgia per un passato lontano che lentamente sta svanendo dalla mia memoria, aumenta per la paura di perderlo e lo stupore verso ogni minuto da vivere lentamente sfuma in un: tutto qui?