Robert Johnson nacque l’otto maggio del millenovecentoundici ad Hazlehurst nel Mississipi. Sin da bambino si appassionò alla musica e fu suo fratello ad insegnarli a suonare l’armonica a bocca e un po’ di chitarra. La leggenda prima ancora del mito, visto che Johnson è uno dei padri del Blues ed uno dei più grandi e influenti musicisti del secolo scorso, vuole che all’inizio della sua carriera non fosse un granché come musicista. E allora, si domanderanno in tanti, come ha fatto questo ragazzino morto ad appena ventisette anni e di conseguenza capostipite del cosiddetto Club 27, che include tra i suoi membri Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain e Amy Winehouse, a diventare fonte d’ispirazione per Muddy Waters, Bob Dylan, Eric Clapton, lo stesso Jimi Hendrix, Jeff Beck, Keith Richards, Jimmy Page e tanti altri?

La leggenda, alimentata dallo stesso Johnson, ma anche da molti musicisti dell’epoca che hanno avuto la fortuna di incontrarlo, narra di un suo incontro, avvenuto allo scoccare della mezzanotte presso un crocevia desolato, con un misterioso uomo in nero, il quale gli avrebbe concesso un ineguagliabile talento artistico in cambio della sua anima. Johnson dopo quell’incontro, acquisì una tecnica chitarristica incredibile, basata sul fingerpicking ed elaborò brani con strutture musicali talmente complesse, e ben lontani dalle composizioni di un chitarrista mediocre quale era precedentemente, da divenire esempi e fonte d’ispirazione per molti chitarristi, come quelli menzionati sopra. Il documentario Devil at the Crossroads, tra l’altro molto ben fatto,può aiutarvi ad approfondire le vostre conoscenze su questo incredibile personaggio, altrimenti se non siete appassionati del genere, potete farvi due risate con il film O’Brother, Where Art Thou? (Fratello dove sei, 2000) dei Fratelli Coen, dove il chitarrista Tommy Johnson è appunto il Robert Johnson di cui parlo stasera.

Al di là dei suoi testi che rimandano al maligno e dell’alone misterioso di cui lui stesso amava circondarsi, sembra che la realtà sia molto meno impregnata dell’odore di bruciato del Demonio, di quello che Johnson voglia farci credere. Idea di molti è che il chitarrista, sostanzialmente una pippa all’inizio della sua carriera, abbia incontrato durante il suo girovagare un altro musicista, tale Ike Zimmerman, personaggio di cui si sa poco o niente, a parte il fatto che amasse suonare tra le tombe dei cimiteri, e che questi, gli abbia insegnato a suonare bene la chitarra. Il resto del lavoro lo ha fatto lo stesso Johnson dedicando, anima e corpo, a quello strumento e a quella professione.

Come ricorda Keith Richard, chitarrista dei Rolling Stones, in un documentario a lui dedicato dal titolo: Under the influence, anche questo molto bello se vi interessa il genere: se passi otto ore al giorno a suonare uno strumento, per diventare il migliore in quell’arte, è come se in qualche modo, l’anima al Diavolo tu l’avessi venduta davvero. Il sacrificio per diventare il migliore, si traduce quindi per Richard e tanti altri, in ore e ore di pratica messe in atto con costanza. Che si parli di musica, di scrittura, di arte o di sport, chiunque sale sul podio dei migliori, alla fine dirà che l’unico modo per arrivare fino a quel punto è questo e che non ci sono scorciatoie.

Talvolta però, vendere l’anima al Diavolo, cioè allenarsi e lavorare duro per diventare i migliori non basta, perché ci si scontra con tante altre problematiche, come nel caso degli scienziati che dedicano un sacco di tempo all’approfondimento delle loro conoscenze, ma che per anni vivono nel precariato e solo in tarda età riescono ad ottenere una posizione, se sono fortunati. Quando ci si scontra con un sistema un po’ imperfetto e un po’ saturo per la troppa domanda, come quello della ricerca accademica, si finisce per vendere l’anima al Diavolo da una parte e allo stesso tempo non vedendo i risultati del lavoro svolto, si rischia di finire in uno stato di sfiducia pesantemente invalidante.

Il mio amico Maurizio stasera mi ha chiamato, mi ha detto che in seguito a un concorso andato bene ha ottenuto un posto di Principal Investigator in un ottimo istituto. Il mio amico Maurizio è uno che l’anima l’ha venduta davvero, ha faticato, si è battuto contro quel sistema imperfetto al quale ho accennato e alla fine è riuscito nella sua impresa. E non esistono congratulazioni che valgano, per quello che ha fatto, solo il piacere per aver vissuto con lui tutto il precedente calvario che oggi si è finalmente concluso in maniera ottima! Ad maiora amico mio!