La cosa strana nel parlare di vita con altre persone, è che si giunge sempre alle stesse conclusioni. La prima di queste è che nessuno sarà mai pienamente soddisfatto della vita che ha. Sì, ci sono dei momenti in cui si sta meglio, dei momenti in cui siamo abbastanza soddisfatti, ma nel complesso la nostra permanenza sulla terra, sotto forma di esseri umani equivale più che altro a un gran giramento di coglioni, come si dice dalle mie parti. La seconda conclusione, conseguenza diretta della prima, è che per il novanta per cento delle volte, i giramenti di coglioni di cui sopra saranno causati da stronzate, da situazioni non legate direttamente al nostro vivere quotidiano, bensì a problemi inutili che ci creiamo e che potremmo indubbiamente evitare. La terza è che alla fine è meglio non pensarci, vivere senza riflettere sulla vita che stiamo vivendo, altrimenti rischiamo la follia, oltre a perdere il nostro tempo in qualcosa che non ci porterà assolutamente niente.
Personalmente preferisco farlo, intendo perdere tempo e riflettere sulla mia vita, forse è per questo che mi trovo a viverne una particolarmente incasinata e che a volte percepisco una qualche vena di follia nel mio giornaliero arrancare, tra le ore che si susseguono senza sosta, trascinandomi giorno dopo giorno, un passo più vicino al mio appuntamento con la morte. C’è qualcosa di strano, ossessivo, circolare, vertiginoso, nei minuti di vita che impieghiamo a riflettere su essa, come un mastino che si morde la coda, una sorta di loop infinito, un abbraccio tra il nostro corpo e l’ombra che esso proietta in giro, un braccio di ferro, che siamo destinati a perdere, tra l’esistenza e il bisogno stesso di spiegarla.
Non so come definire quella sensazione che si fa strada in me nel momento in cui, mi trovo a pensare alla mia vita, è come se mi percepissi piccolo in confronto ad essa, un istante eterno tra un passato già vissuto e un futuro ancora inesistente, e in quella sensazione iperdimensionale divento un suono, non piacevole, piuttosto simile a quei brani di Acid Jazz, ne ricordo alcuni particolarmente fastidiosi, terribili, contenuti in un CD che mi fu regalato moltissimi anni fa, non so darvi il titolo, l’ho rimosso dalla mia memoria insieme al nome del gruppo, ma sicuramente lo conservo ancora, non ho mai gettato un regalo in vita mia.
Quando entro in questi giri mentali così faticosi per il cervello umano, trovo rifugio essenzialmente in due cose. La prima è la poesia i Limoni di Eugenio Montale – Quando un giorno da un malchiuso portone, tra gli alberi di una corte, ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo nel cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni, le trombe d’oro della solarità – versi meravigliosi, creati apposta per riempire quel vuoto, impossibile da colmare, quando si pensa alla vita e ci poniamo domande esistenziali. La seconda è la massima del regista Jim Jarmusch. A dire il vero non so dire se appartenga proprio a lui, oggi è tutto un citarsi addosso, come direbbe Woody Allen, io gliel’ho sentita pronunciare in un’intervista un anno fa, durante la presentazione del suo film The dead don’t die (I morti non muoiono, 2019), tanto per restare in tema e per consigliarvi una pellicola abbastanza buona. Essenzialmente, la frase è inserita nel contesto riguardante l’impossibilità del comprendere la vita e dell’insoddisfazione esistenziale, ma si può applicare praticamente a qualsiasi cosa o argomento – Veloce, economico e buono…scegline due. Se hai scelto veloce e economico, non potrà essere anche buono, se hai scelto economico e buono, non potrà ovviamente essere veloce, se hai scelto veloce e buono non sarà economico. Veloce, economico e buono…scegli due parole per descrivere la tua vita o quella che vorresti, il segreto è tutto lì!