Di traslochi e dediche…

Conosco persone che non hanno mai traslocato dalla casa nella quale sono nate, hanno vissuto tra le stesse quattro mura per anni e anni ed io, che di traslochi ne ho fatti almeno venti, toccando due continenti e quattro stati differenti, un po’ li invidio. Un trasloco nasce da un’idea o dall’esigenza di dover migrare altrove. Parte lentamente, in maniera superficiale e si fa più intenso man mano che le ore, trasformate in giorni, cresciute in settimane, passano.

Non è soltanto un cambiamento di dimora, come la maggior parte delle persone pensa, è il campanello che annuncia una futura riorganizzazione mentale, che abbraccerà tutte le attività di colui che si sposta da un luogo ad un altro. Quando parlo di attività, intendo tutto ciò che la persona fa dal momento in cui si sveglia al momento in cui va a dormire, comprese cose banali come radersi o preparare un caffè.

Alla futura riorganizzazione mentale, che silenziosamente comincia a occupare gran parte dei pensieri di colui che trasloca, fin da quando si mette a impacchettare le sue cose, si contrappone un faccia a faccia con il passato che molto spesso ha effetti devastanti su di lui. Organizzare le cose all’interno degli scatoloni e delle valigie, significa portare nuovamente a galla, milioni di ricordi, situazioni, avvenimenti passati che, impolverati sopra mensole e scaffali, tornano limpidi come fossero avvenuti venti minuti prima. Questo succede a me, che sto traslocando per l’ennesima volta e che mi trovo nuovamente alle prese con scatoloni e valigie da riempire.

Ho incominciato oggi, a impacchettare le prime cose e visto che il mio appartamento è principalmente occupato da libri, è ovvio che, per iniziare, mi sia dedicato a quelli. Sistemandoli a uno a uno nelle scatole, spolverando ogni volume prima di inserirlo all’interno, ho trovato dediche oramai dimenticate, talmente toccanti da causare in me attimi di tristezza incredibili, per passati che potevano trasformarsi in futuri meravigliosi e che invece si sono smarriti chissà dove, nel buio di notti oramai lontane nel tempo e nello spazio. Persone che non ci sono più, amori passati, autori che non ricordavo di aver incontrato, personaggi che sono andato a cercare spontaneamente, centinaia di parole scritte a penna che lasciano in alcuni casi l’amaro in bocca.

Così questo primo giorno di preparazione al trasloco, si è trasformato, come tutte le altre volte, in un momento di raccoglimento tra il me stesso che sono e quello che sono stato. Non parlo di bilanci, ho smesso di farli un paio di anni fa, piuttosto di inevitabili raffronti tra quello che ero e quello che sono, raffronti dove non sempre vinco, anzi, molto spesso perdo, tanto.

Applicare lo scotch sopra quelle scatole riempite velocemente, per poter così staccarsi da quei ricordi, che restano appiccicati alle dita ogni volta che esse toccano gli oggetti, in questo caso i libri, diventa quindi una liberazione dalle frustrazioni dell’anima. Non sono il primo a dirlo, ne ha parlato già qualche anno fa, molto meglio di me, quel genio di Daniele Silvestri nel suo album Scotch, dove c’era appunto un pezzo meraviglioso che parlava proprio di questo. Il brano, in questione, Lo Scotch era cantato in coppia con Beppe Servillo e tra l’altro alla fine di esso Servillo leggeva un estratto di un racconto di Andrea Camilleri tratto dal libro Un mese con Montalbano, una meraviglia.

Che dire, un po’ per il caldo, un po’ per i ricordi, gli scatoloni, la polvere che dilaga un po’ ovunque ogni volta che sposto qualcosa, questa giornata è stata indubbiamente faticosa, estenuante. Sono dovuto andare al supermercato sotto casa ed ho dovuto acquistare una bottiglia di vino rosso, per onorare tutte quelle persone che mi hanno dedicato quelle bellissime parole, che a distanza di anni sono ancora in grado di suscitare terremoti incredibili, nelle profondità della mia anima.