Nuovi orizzonti perduti…

Sto scrivendo dalla mia nuova postazione, un luogo nuovo che mi ospiterà per qualche tempo, in attesa di trovare il posto dove passerò il resto della mia eternità. Sono seduto alla mia scrivania provvisoria, una rozza asse di legno poggiata su due cavalletti. Intorno a me statue di scatoloni e un letto montato per questa notte, davanti a me, una grande finestra che da su uno splendido giardino, un manto erboso che ospita un sacco di alberi tra i quali un fico, che tra non molto darà gli splendidi frutti che tanto amo. Sono già andato a controllare, durante la mia prima passeggiata esplorativa e ve lo garantisco, in settembre ci sarà da raccogliere! 

Sono stanco, il trasloco, fatto rigorosamente da solo, ha affaticato la mia schiena. Sono state indubbiamente le venti casse di libri che mi sono portato in braccio, nel tragitto tra il vecchio appartamento e il camion preso a nolo, parcheggiato a qualche centinaio di metri dal mio ingresso e poi di nuovo dal camion al nuovo appartamento, per fortuna localizzato al pian terreno. 

La mia stanchezza però, si sta velocemente affievolendo, complice la tranquillità di questa zona della città. Qui non c’è traffico, in tutto il giorno ho percepito solo qualche rumore lontano, è un luogo molto diverso da quello dove abitavo prima, che si affacciava invece, su uno dei Boulevard più trafficati della città. Mi sto guardando intorno, so che mi mancheranno le figure che avevo individuato nelle mie passeggiate nel vecchio quartiere, gli individui che avevo conosciuto nei bar, di conseguenza, già sono in caccia delle possibili persone che potranno in qualche modo sostituirle. 

Per ora non ho incontrato nessuno, ad esclusione della mia vicina, un anziana signora di circa ottant’anni che due volte al giorno porta a spasso il suo cane, molto più grande di lei, un alano dal pelo maculato bianco e nero che si chiama Johnny, ma ancora non so il perché, chiederò sicuramente nei prossimi giorni.

La nuova casa ha tutto quello di cui ho bisogno, un ottima boulangerie distante meno di cento metri, una macelleria, un supermercato non troppo lontano, che indubbiamente potrò raggiungere anche a piedi e un giornalaio. C’è anche un ristorante che si chiama Pinocchio, ma è un posto strano. Sulla P di Pinocchio c’è il logo de Il Padrino e fin dal momento in cui l’ho visto, non faccio che chiedermi se il proprietario abbia sbagliato referenza, se sia un messaggio subliminale del tipo: chi ha orecchio da intendere intenda, o se abbia fatto qualche assurda connessione, che ovviamente mi sfugge, tra la popolare favola di Carlo Collodi e il libro di Mario Puzo. Non so se ci andrò mai a mangiare, l’aspetto non ha niente di invitante e intorno ci bazzicano, quelli che mi sembrano, dei loschi personaggi, ma indubbiamente è un luogo che potrà dare grandi soddisfazioni alla mia fervida immaginazione. 

Adesso concludo questo pezzo e vado a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, non ho voglia di cucinare, non ho voglia soprattutto di cercare la scatola delle vettovaglie, avendo dimenticato di scrivere sopra i differenti cartoni, che cosa essi realmente contengono. A dire il vero, non l’ho dimenticato, è che aprire una scatola che non so che cosa contiene, mi emoziona sempre particolarmente, diciamo che è piuttosto un mio modo per trasformare una cosa noiosa e faticosa, fisicamente e psicologicamente, come un trasloco, in una specie di Natale anticipato!