Eravamo così, dispersi in un bosco talmente bello, triste e violento che si sarebbe dovuto almeno vergognare, di farsi vedere a quel modo, messo a nudo nella sua intimità autunnale, fatta di colori che dal rosso al giallo tenue, infiammavano il sentimento più proibito che si può accendere all’interno di un cuore, tabù di un amore, di cui nessuno potrà mai raccontare.
Coperti dall’umidità del giorno di sole che segue la tempesta, nascosti ai suoi raggi tenui, che a malapena filtravano tra le milioni di foglie agonizzanti, che di lì a qualche settimana sarebbero cadute per lasciar spazio a una nuova rinascita, ci amavamo ingenui, come bambini che scoprono qualcosa che non hanno mai visto.
Curiosi, inebetiti, se vogliamo inesperti, non ci rendevamo conto di quello che stava succedendo, non riuscivamo a capirlo, sebbene qualcosa dentro di noi, ci facesse intuire che era cosa buona e giusta. Travolti dalla struggente e delicata bellezza del paesaggio circostante, con in sottofondo le note di un pezzo di pianoforte malinconico e triste, ci stringevamo, ci baciavamo, che solo quello era necessario fare per passare inosservati, per mimetizzarci in quel quadro mistico. Improvvisamente però, la sensazione di essere spiati ci avvolgeva, la paura di essere scoperti si manifestava.
Chi sei misterioso osservatore? Occhio gigante puntato come un faro su di noi, che ci perdiamo nell’amore? Chi sei inquilino dell’universo che, muovendo le pedine della vita, fai sì che scene come questa si riproducano naturalmente e restituiscano all’universo la perfezione dell’amore? Chi sei tu che ci osservi, senza fiatare, nascosto ora dietro la bellezza del bosco, ora sopra le nuvole, ora dietro le nostre spalle, tra i capelli di lei così bella e innocente, tra le mie braccia che tanto hanno desiderato stringerla forte? – mi chiedevo.
Ci guardavamo, ci baciavamo e poi tornavamo a guardarci intorno. Quella strana sensazione dell’esser osservati, mentre entrambi ci abbandonavamo all’amore, al momento, a quell’eterno spazio tra un bacio e l’altro, tra un abbraccio e l’altro, non lasciava i nostri pensieri per un attimo.
La musica delicata del pianoforte continuava a circondarci, a nascondere alle nostre orecchie i rumori del sottobosco, a far da colonna sonora al battito del nostro cuore. La sensazione dell’esser osservati sempre lì, ora dietro, ora davanti, ora sopra di noi.
Chi sei tu misterioso inquilino della selva, che ti specchi nel nostro abbraccio così etereo e magico? Chi sei misterioso creatore che guardandoci ci fai sentire così vivi? Chi sei? Diccelo, rivelati, chiunque tu sia! – pensavo in segreto.
Il pezzo di piano si esauriva e nel silenzio piombato improvvisamente all’interno dell’auto dove ci amavamo, un rumore di foglie schiacciate, il ticchettio di una catena da bicicletta, una maglia azzurra sulla quale spiccava una scritta gialla: colorobbia, e un cappellino a tesa, di tela bianco, con su scritto in rosso: BigMat. L’ignaro o forse no, ciclista, poggiava la bici a una staccionata e rivolto verso la grande quercia, dirimpetto al cofano della nostra auto, si abbassava i ciclisti lasciando libere alla nostra vista le sue chiappe flosce e…” piove sulla favola bella, che ieri ci illuse, che oggi ci illude…”, per citare D’Annunzio.