Una popolare leggenda Olandese, racconta di un bambino che passando su una diga, per recarsi a scuola, si accorge di una piccola perdita, un piccolo buco se vogliamo, dal quale passa l’acqua del mare. Il bambino capisce immediatamente che se non farà qualcosa, il buco nel terrapieno si allargherà, la diga sarà distrutta e acqua, fango e detriti distruggeranno il suo villaggio. Si avvicina così al foro e delicatamente infila una delle sue dita all’interno, bloccando il flusso dell’acqua. Qualche ora più tardi un vecchio lo vede e subito corre a chiamare gli operai, che raggiungono il bambino e riparano la diga.
Il nome del bimbo leggendario varia a seconda della zona dell’Olanda, a volte si parla di Hans di Haarlem, a volte di Hendrick, quello che è certo però, è che la figura di questo giovane eroe è molto celebrata, attraverso una moltitudine di statue realizzate un po’ ovunque all’interno della nazione. Ovviamente, se da una parte abbiamo a che fare con una leggenda, dall’altra subito comprendiamo quanto di etico e filosofico venga trasmesso attraverso di essa. Le prime storie su questo bambino risalgono soprattutto all’epoca delle grandi guerre europee, di conseguenza, un dito che toppa una falla in una diga, trasmette immediatamente l’idea di eroismo civile, buona volontà, impegno morale, scommessa sull’ottimismo del fare per resistere e cambiare il mondo.
A questa leggenda ho pensato oggi, nel momento in cui ho visto il video della bambina di Taiwan, rimasta agganciata a un aquilone e volata via. Se da un lato il video è terribile e l’avventura della bambina da paura, non voglio immaginare i suoi poveri genitori in quei trenta secondi di volo, che messaggio incredibile trasmette quell’immagine?
In un epoca come la nostra, dove tutti noi tendiamo a prenderci incredibilmente sul serio, dove siamo così certi della verità che ci portiamo appresso e che dispensiamo agli altri come se fosse la sola e unica, quanto può insegnarci la leggerezza di quella bambina che si innalza in cielo, desiderando soltanto di poter mettere nuovamente i piedi per terra?
In un epoca come la nostra, in cui ci sentiamo così lontani dalla natura, tanto da adottare stili di vita che la distruggono, credendo di essere noi i padroni del mondo, quanto può insegnarci quel vento che trascina via la bambina e solo placandosi lentamente, la fa discendere giù, senza alcun danno fisico irrimediabile?
In un epoca come la nostra, dove riponiamo grande fiducia nelle nostre tecnologie, nelle nostre costruzioni, arrivando a identificare erroneamente l’evoluzione umana nella nostra evoluzione tecnologica, quanto può insegnarci quell’aquilone, realizzato sicuramente da mani esperte, che si è attaccato alle gambe della bambina trascinandola via?
E ancora, quanto la grandezza di quell’aquilone si rispecchia nelle nostre sempre più frequenti manie di grandezza?
E i genitori che non fanno attenzione alla loro piccola di tre anni, quanto ci raccontano della nostra attuale visione della famiglia?
Infine, quanto rispecchia la nostra società quel gruppetto di persone che inerme guarda la bambina in cielo, senza poter far niente per tirarla giù? Impotenti, frustrati, proprio come spesso ci sentiamo noi, davanti ai problemi del mondo.
La leggenda della bambina che volò via su un aquilone farà il giro del mondo, accompagnata dal suo terribile video e si esaurirà nello stupore di vedere una cosa del genere, probabilmente tra qualche giorno, ma a me piace che sia presente qui in un post, come fosse un monumento eretto alla sua figura, a futura memoria di chi leggerà, come una leggenda d’altri tempi appunto. Un avvenimento così può offrire, talmente tanti spunti di riflessione, che sarebbe un peccato perderli nel caos della rete, tra video di gattini e altri milioni di cazzate.