Di pranzi all’aperto e sogni…

Oggi sono andato a pranzo a casa di alcuni amici, che abitano una vecchia colonica perduta in mezzo alla campagna, costruita probabilmente quando da queste parti c’era ancora il Re, tanto profumano d’antico le pareti e le travi in legno, che sostengono ancora quel che resta della mangiatoia.

Quando sono arrivato, la tavola era apparecchiata in mezzo al giardino, all’ombra di un grande ciliegio e poco distante, su un barbecue in muratura, un paio di salsicce arrotolate su sé stesse come due serpenti, cuocevano lentamente sulla brace. Sulla tavola, l’aperitivo era già stato allestito, olive verdi e nere, nocciole, mandorle, affettati e bruschette erano sparse qui e là, su una tovaglia decorata con cicale e mazzetti di lavanda, sulla quale campeggiavano anche due bottiglie di champagne. C’erano due cuccioli di beagle che riposavano sul grande prato, non troppo distante dalla tavola, un occhio chiuso, uno aperto sulle salsicce dalle quali si alzava un odore incredibilmente buono.

Abbiamo mangiato tranquilli, un cielo azzurro magnifico a ripararci e un caldo sole settembrino a farci compagnia, mentre le bordolesi si vuotavano una dietro l’altra e l’odore della grigliata si spandeva sempre più intorno a noi. Quando mi scontro con episodi come questo, in cui la compagnia è bella, il cibo ottimo, il tempo meraviglioso e tutto appare perfetto, lo posso dire, con il vino esagero sempre un po’. Mi piace quando l’alcool scioglie la mia lingua e mi rende più aperto, sentimentale e non posso far a meno di raccontare, di parlare, di confidare quello che mi passa per la testa, quello che sento. C’è da dire poi, che nessuno si stupisce, soprattutto chi mi conosce, se dopo un pranzo, ben innaffiato con ottimo vino, che si stende tranquillo nell’inoltrato pomeriggio, sento il bisogno di alzarmi improvvisamente, di allontanarmi da tutti e di sedermi sull’erba, magari sotto un albero, per addormentarmi tranquillo. Questo è successo quando il sole, verso le due del pomeriggio, ha cominciato a battere forte. Mi sono seduto sotto una grande quercia poco lontana dagli altri, ho appoggiato la schiena al tronco ed ho chiuso gli occhi, accompagnato dalle voci degli amici, sempre più indistinte, sempre più lontane.

Un attimo dopo passeggio, le amate colline toscane sullo sfondo, mio padre di fianco a me che parla di caccia – Allora? Che cosa ne hai fatto dei miei fucili? – mi chiede serio – Li ho lasciati a casa di Cecilia, lo sai che mi sposto continuamente, portarli in Francia senza avere una residenza fissa, mi sembrava troppo complicato! – rispondo triste. Mi mette un braccio su una spalla – Hai fatto bene, credo fosse l’unica cosa buona da fare…ma sei sempre deciso ad andare a caccia? Anche senza di me? – chiede ancora. Lo guardo negli occhi con aria triste – Non lo so babbo…è che mi manchi…e ho paura che fare questa cosa, non faccia che incrementare la malinconia… – rispondo sincero. Con la mano mi spettina i lunghi capelli – Peccato, avevamo un sacco di grandi progetti…la caccia in Francia…dovevamo anche comprare il cane…sono sicuro che a Livia sarebbe proprio piaciuto avere un cagnolino! – dice – Si, ha due gatti, ma un cane…secondo me si sarebbe innamorata subito! – rispondo – Beh puoi sempre prenderlo! Guarda, io da quando sono qui ne ho preso uno! – conclude e solo allora, guardo per terra, e mi accorgo che di fianco a noi c’è uno splendido setter irlandese rosso – Si chiama Diana! – dice accarezzandola. Mi inginocchio e l’accarezzo sulla testa, lei mi lecca una mano – È tanto buona, non farebbe male a una mosca, ma vedessi come punta i fagiani quando andiamo in giro per le piagge! – dice, allontanandosi piano da me – Ah…Claudio, fatteli ogni tanto quei capelli…che non siam più negli anni settanta! – conclude, sparendo dietro una curva. Diana mi lecca una mano, continuo ad accarezzarla e poi, di colpo, mi sono svegliato, uno dei beagle mi stava leccando le dita, probabilmente profumate di salsiccia.

Adoro questi passaggi tra un universo all’altro.