A volte sento il bisogno di trasformare lo stress in pura energia. In giorni come questo, senza previsione alcuna, spesso incoscientemente anche senza preparazione, mi lancio in imprese dal sapore assurdo che hanno il doppio scopo di, farmi vuotare completamente la testa e allo stesso tempo di scaricare completamente quelle energie negative che spesso circolano nelle mie vene.
Improvvisamente ieri sera, ho avuto un lampo di genio e presa la decisione di lanciarmi in una di queste pazzie, ho preparato un paio di panini, della frutta secca e sono andato a dormire alle nove. Questa mattina mi sono alzato alle quattro, ho gettato nel cofano della mia auto scarponi da trekking e uno zaino contenente attrezzature varie adatte all’occasione, e sono partito alla volta di una montagna di tremilacento metri, della quale per ragioni di privacy e poiché rappresenta uno dei miei luoghi segreti non vi dirò il nome, per fare una bella scarpinata.
In genere, quando mi reco da quelle parti, trovo tutto un ventaglio di percorsi a diversi livelli e scelgo quello che più si addice al mio stato fisico e mentale. Oggi mi sentivo particolarmente in forma, sistemata l’auto nel parcheggio e uscito dall’abitacolo, mi sono ritrovato accerchiato dalle ombre delle montagne, la luna in cielo a illuminarle delicatamente, in trepida attesa per l’arrivo del sole. Un’immagine talmente bella e poetica, che ha liberato in me le endorfine necessarie a farmi credere un Messner dei poveri, annebbiando completamente il mio cervello.
Ho fatto una follia, lo ammetto, partire solo, poco preparato e scegliere un cammino ad alta difficoltà, forse non è stata la più intelligente delle idee, ma sono qui a raccontarvelo, quindi vuol dire che in fin dei conti l’impresa è andata molto bene. Ho scelto un percorso ad anello di venti chilometri, con una durata approssimativa di sette ore di marcia. Il dislivello medio era attorno ai millesettecento metri e il percorso toccava altitudini che variavano dai duemila ai tremilacento metri.
È stato incredibilmente bello e il gioco valeva la candela, visto che alla fine ho avuto la fortuna di fotografare qualche gruppo di camosci, alcune marmotte, cavalli selvaggi e anche un paio di avvoltoi. Meraviglioso, ma sono dovuto ricorrere a una moltitudine di soste, in particolare quando sono arrivato intorno ai tremila metri e il cuore ha cominciato ad andare un po’ come voleva, fregandosene di me e delle mie idee malsane. Posso ammettere tranquillamente che, dopo quattro ore di marcia perennemente in salita, ho quasi accarezzato l’idea di tornare indietro. Non sarebbe stato da me ed infatti ho continuato fino alla fine – arriverò morto ma arrivo! – mi son detto convinto.
Adesso sono seduto al bar dell’hotel nella valle, ho messo le scarpe comode, cambiato i vestiti e mi sto gustando una fantastica torta ai mirtilli, ripensando a tutti i passi, a quella meravigliosa alba che mi sono gustato da oltre i duemila metri e a quel momento in cui, un cavallo allo stato brado, salito su una collinetta si è trasformato in un’ombra a contrasto con la luce del sole che saliva proprio dietro di lui. L’ho guardato commosso – Ecco questo è l’unico Dio che posso accettare… – mi son detto, e gli ho fatto una foto, che non capita tutti i giorni di attraversare attimi perfetti, proprio quando il cuore ci vorrebbe dare l’eterno addio.