Il vicino è svenuto in mezzo al giardino, un malore forse o più probabilmente, a giudicare dall’odore, il troppo alcool. L’ho visto accasciarsi a terra vicino al fico, dopo aver barcollato e mosso il corpo come se stesse praticando un’arte marziale a me sconosciuta. Io ero affacciato alla finestra del mio studio, fortunatamente, così ho chiamato in maniera tempestiva i pompieri e sono corso a soccorrerlo. I pettegolezzi giungeranno nei prossimi giorni, a raccontare varie versioni più o meno fedeli della vicenda, ma a me basta sapere che sta bene, che qualcuno si prende cura di lui, se non per sempre, almeno per qualche giorno. Credo viva solo, che non abbia nessuno, a giudicare dalle apparenze almeno, poi chissà.
Se di solitudine si tratta, solo chi la prova sa quanto sia terribile. È un cane nero che viene direttamente dall’inferno, la solitudine, e ti sbrana piano piano, lacerando lentamente i lembi di pelle che ricoprono il tuo corpo, fin quando, attaccato alle ossa non resta niente più, che un misero involucro, ammasso di cellule a poco a poco impazzite e nella tua testa, una gran voglia di seguirlo nell’oltretomba, quel cane, meglio se con in mano una bottiglia di whiskey, anche del peggiore che sia mai stato prodotto, come quello contenuto nella bottiglia rotolata a qualche centimetro dalla mano dell’uomo.
Sono rientrato in casa, un po’ sconvolto, ho aperto una bottiglia di vino e ne ho bevuto un bicchiere – alcool ammazza alcool… – ho pensato brindando silenziosamente a quell’uomo, del quale non conosco nemmeno il nome, ma che immagino avvolto in lenzuola pulite, in un letto d’ospedale, magari in una stanza tranquilla, chissà.
A volte la vita è così, cruda, beffarda. Stavo per scrivere un post sulle avventure di Salvini a Pontassieve e mi sono ritrovato all’interno di un terribile dramma condominiale. Adesso mi è impossibile non riflettere su quello che è appena avvenuto, che cosa sarebbe potuto accadere se non avessi notato l’uomo, visto che nessuno degli altri vicini è accorso in suo aiuto, almeno fin quando l’ambulanza dei pompieri non è arrivata a interrompere la quiete della residenza, con sirene spiegate e luci stroboscopiche blu, a riflettersi sui muri bianchi dei nostri appartamenti calmi e tranquilli. Subito dopo le sirene, almeno altre dieci persone sono arrivate e hanno fatto capannello intorno ai soccorritori, mentre io, una volta spiegato velocemente al medico quello che era successo, sono rientrato velocemente in casa.
Non sono tranquillo, in questo momento intendo. Queste situazioni mi angosciano, mi è inevitabile non pormi mille domande, sul destino, sulla vita, sulla morte, sul caso che mi ha fatto affacciare alla finestra e notare l’uomo. Bevo ancora un sorso di vino – l’ho salvato? L’ho condannato? – penso, mentre rimugino su quello che è appena successo.
Mi piacerebbe andare a trovarlo, capire un po’ di più sulla sua vita, su quello che sta accadendo nel suo tempo, mi chiedo se in qualche modo posso aiutarlo o se il mio compito si è esaurito nel momento in cui notandolo ho chiamato aiuto. Chi può dirlo, io di sicuro non so quello che può succedere tra qualche minuto, la vita è talmente imprevedibile che un attimo prima rifletti alla finestra su cosa cucinare per cena e qualche minuto dopo, ti trovi a chiamare i pompieri per aiutare qualcuno in difficoltà. Ripongo la bottiglia di vino nella credenza, stasera vado a cena nel mio ristorante preferito, domani è un altro giorno, si vedrà.