Bevo del tè, mentre osservo fuori dalla finestra, la pioggia che cade. Nell’appartamento fa abbastanza caldo. Indosso un paio di pantaloni corti, una maglietta e dalle mie spalle scivola giù, lungo la schiena, un plaid rosso dai bordi bianchi. Lo acquistai l’anno scorso, durante le compere natalizie, ma a Livia ho raccontato di averlo trovato appoggiato a una delle sedie della cucina, la mattina di Natale. Adesso è convinta, vista la somiglianza con i colori del vestito di babbo Natale, che il popolare vecchietto abbia dimenticato a casa nostra il suo mantello, magari proprio quando si è fermato a mangiare i biscotti alle mandorle che gli avevamo preparato e a bere il bicchiere di latte. – Certo! È andata proprio così… – dice a chi le chiede – Si è seduto al tavolo della cucina per mangiare e poi ha lasciato sulla sedia il suo mantello! – conclude convinta.
Ho inventato anche una leggenda. Poiché ancora, nonostante sappia scrivere i caratteri, non è in grado di comporre delle vere e proprie frasi, e considerato che io le letterine non gliele scrivo, le ho detto che per chiedere i doni a babbo natale è sufficiente che la sera, prima di dormire, si avvolga nella coperta, chiuda gli occhi ed esprima ad alta voce i doni che vuole, senza cambiarli ovviamente. Va da sé che, dal momento in cui tiro fuori la coperta dall’armadio, con l’arrivo dell’autunno, ogni sera, prima di dormire, a casa mia va in onda lo stesso rituale di richiesta doni. Fortuna che è solo una delle mie invenzioni, altrimenti sai che palle per quell’uomo, sentire sempre le solite parole ogni sera fino a natale, da suicidio.
Sì, ne parlo come se esistesse questo vecchietto e in effetti, io ci credo, d’altronde, c’è chi crede in Dio, chi nell’anima, chi crede che il Covid non esista, chi crede in Scientology, chi pensa che la terra sia piatta, chi crede a Qanon, quindi non vedo il problema.
Bevo un altro sorso di tè, mi stringo nella coperta pure io, chiudo gli occhi ed esprimo il mio desiderio, in silenzio, mentre in sottofondo Duke Ellington e la sua orchestra mi stendono, tappeto rosso di note disperse, la colonna sonora del celebre film Anatomy Of a Murder (Anatomia di un omicidio, 1959), capolavoro di Otto Preminger con quei figaccioni di James Stewart e Lee Remick e con la partecipazione dell’incredibile e mai troppo menzionato Ben Gazzara, che sotto il nome di Jackie Treehorn, in completo bianco e camicia rossa appare anche nel meraviglioso film dei fratelli Coen: The big Lebowski (1998).
Finisco di bere il tè, termino di ascoltare il disco e poi si vedrà, intanto fuori la pioggia non cade più e lontano, le nuvole nere, sembrano diradarsi lentamente.