Ci sono notti in cui, la profondità delle tenebre e il rumore del silenzio si fanno così angoscianti da sconvolgere la mia tranquillità, risvegliando in me terribili paure associate a qualcosa di inconscio, che non riesco mai completamente a delineare.

Seduto in poltrona, al lume fioco di una lampada da tavolino, un libro appoggiato sulle ginocchia, mi guardo intorno esplorando lentamente le ombre che riempiono il grande salone. Conosco benissimo i colori dei mobili, delle pareti, degli arredi, il loro variare in sintonia con la luminosità che riempie la stanza nelle differenti ore del giorno, ma quando il buio avvolge quasi completamente tutto quanto, risparmiando alla mia vista solo qualche gamba di tavolo, una lancetta, il bordo di un soprammobile, la silhouette di una pianta e inghiottendo il resto delle cose, in una dimensione non accessibile alla mia percezione, sento l’angoscia diffondersi in me. Le dimensioni che conosco e all’interno delle quali mi muovo, in una sorta di spazio-tempo ben definito, si frantumano improvvisamente. La struttura delle cose si trasforma, gli oggetti diventano più grandi, la stanza stessa si allarga, in un’onirica visione che si perde in creazioni Lynchiane, qualche frase di Stevenson, Poe o Lovecraft, paura, percepisco paura. È in questo momento, osservando quel mondo indistinto che dovrei conoscere, ma che in tempo reale si liquefa davanti a me assumendo forme assurde sconosciute ai miei sensi, che si risvegliano in me inquietudini sepolte chissà dove, che la memoria mi trasporta in altre stanze, in altri luoghi, in altri tempi.

Provavo questa stessa sensazione tanti, tanti anni fa, quando ero ancora un bambino. All’epoca, accadeva spesso che il fine settimana mia madre mi accompagnasse dai suoi genitori, in particolare nei periodi in cui doveva fare la chemioterapia, e che rimanessi con loro qualche giorno. Amavo i miei nonni, in particolare mia nonna, per la quale nutrivo un sentimento incredibilmente forte, ed ero sempre felice di passare del tempo col loro. Tuttavia, non ero quel che si può dire un ragazzo semplice, avevo un brutto carattere, ero pretenzioso e spesso, nonostante il bene, mi rivolgevo a lei in malo modo. Non so dire se questo fosse legato al terribile periodo che stavo attraversando o se fossi stato proprio così, non lo ricordo, quello che ricordo è che quando, alla fine del week end, tornavo a casa dei miei e andavo a dormire, la stanza avvolta dal buio assumeva le stesse caratteristiche del mio salone adesso. Allora come oggi, o oggi come allora, provavo e provo la stessa sensazione di angoscia, lo stesso terrore. Nel buio che riempiva la casa, senza dir niente ai miei che di solito guardavano la tv in salotto, mi alzavo dal letto e raggiungevo il telefono. Chiamavo mia nonna, col fiato sospeso, spesso con la paura che non rispondesse, che fosse morta. Il mio cuore batteva all’impazzata fin quando la sua voce compariva magicamente. Non le davo nemmeno il tempo di chiedere il perché di quella chiamata, subito le domandavo perdono per come mi ero comportato, le dicevo che le volevo bene. Solo dopo aver fatto quella telefonata, potevo tornare nella mia stanza buia, l’angoscia scomparsa e dormire tranquillamente.

Oggi quando mi succede di provare queste sensazioni, mi guardo intorno, respiro profondamente, chiudo gli occhi, poi prendo il telefono, scorro i contatti ad uno ad uno – A chi ho fatto un torto? a chi ho fatto del male? – Mi chiedo. A volte chiamo, per chiedere perdono, altre volte, quel coraggio bambino di un tempo non riesco proprio a trovarlo – Un’altra notte insonne… – penso, poi accendo una luce più potente e mi preparo l’ennesimo tè.