– Quindi cosa aspetti? Di uscire di casa ed essere travolto da una macchina… così porrai fine ai tuoi giorni? – mi ha detto, mentre conversavamo al telefono, una persona a me molto cara – Questo lo escludo, raramente esco di casa a piedi…prediligo l’auto… – ho risposto.
Ebbene sì, tra i miei numerosi difetti, ho anche quello di essere un’automobilista incallito e di conseguenza un inquinatore nato. Non mi vedrete mai su uno di quegli orribili e ridicoli monopattini, che stanno invadendo le principali città del mondo e raramente mi incontrerete su una bici. Per quanto riguarda il muoversi a piedi, a parte le frequenti escursioni in alta montagna o in luoghi sperduti e qualche passeggiata serale nel parco o sulla spiaggia, odio camminare in città e nelle zone molto trafficate. Adoro invece l’auto, il piacere della mano sul volante, i movimenti del cambio. Mentre guido mi sento a mio agio, rilassato, tranquillo, in un universo parallelo, al di là del tempo e dello spazio. La mia passione per la guida tuttavia, non è l’argomento verso il quale questo scritto giornaliero verte, piuttosto il fatto che si parlasse di auto proprio oggi, in questo sette novembre, in cui l’auto se vogliamo un po’ protagonista lo è.
Il sette novembre del tredicesimo anno del vecchio secolo infatti, nasceva quel gran genio e figaccione di Albert Camus. Non fraintendetemi, questo articolo non parla né della sua vita, né delle sue opere, per il quale vi rimando alla lettura (ci sono dei personaggi impossibili da riassumere in tremila caratteri), piuttosto è incentrato su qualcosa di complementare e inevitabile, la sua morte. Il quattro gennaio del sessantesimo anno del vecchio secolo Camus, il suo amico nonché editore Michel Gallimard (nipote del più celebre Gaston, fondatore della nota casa editrice Francese), la figlia e la moglie di quest’ultimo, decisero, dopo aver trascorso le feste di fine anno nel Luberon, di rientrare a Parigi in auto. I quattro viaggiavano su una Facel Vega FV3B, che percorrendo un rettilineo, durante il quale Michel, alla guida, probabilmente spinse un po’ troppo il piede sull’acceleratore, raggiungendo i centocinquanta chilometri orari, uscì di strada e si schiantò contro un platano. Camus morì sul colpo, Michel in ospedale qualche giorno dopo, le due donne, sedute dietro, si salvarono. La colpa fu accreditata all’eccesso di incoscienza del conduttore, anche se in seguito furono in molti a pensare a una manomissione dell’auto eseguita da agenti del KGB. Il motivo di questo presunto attentato sarebbero state alcune posizioni di critica prese dal Premio Nobel, riguardo l’invasione Ungherese da parte dell’allora Unione Sovietica.
Più o meno in quel periodo, mentre Camus moriva in quel brutto incidente automobilistico, Steve McQueen, non ancora trentenne partecipava alle riprese del film che lo avrebbe reso celebre ai più, The magnificent seven (I magnifici sette, 1960). Lui, asso della guida, ricordato per la sua passione per le corse, per la quale più volte pensò di abbandonare il cinema, con i motori raggiungeva una simbiosi incredibile. Celebre è la sua partecipazione alla dodici ore di Sebring, durante la quale guidò la sua Porsche 908 con un piede fasciato, a causa di un precedente incidente motociclistico, e si classificò primo nella sua categoria, secondo assoluto dietro al team di Mario Andretti sulla Ferrari 512S, con un distacco di ventitré secondi. Celebri sono anche le scene motoristiche girate in vari film, durante le quali fece a meno perfino della controfigura. La più famosa è senza dubbio quella in moto, sul finale del meraviglioso film, The great escape (La grande fuga, 1963), durante la quale, a bordo di una motocicletta Triumph TR6 Trophy, mascherata come fosse una BMW bellica, cerca di saltare una cortina di filo spinato, dopo un lungo inseguimento tra le colline, della durata di quindici minuti. A onore del vero, bisogna dire che, nelle ultime riprese, il salto effettivamente fu effettuato da uno Stuntman, ma solo perché McQueen provandolo era caduto e la produzione non volle rischiare un infortunio dell’attore.
Steve morirà il sette novembre dell’ottantesimo anno del secolo scorso, non per un incidente di auto, ma per un tumore associato all’esposizione all’amianto, di cui sembra ci fossero tracce nelle tute dei piloti automobilistici dell’epoca e quindi anche nelle sue. Il giorno dopo, avrei raggiunto i miei primi cinque mesi di permanenza sulla terra. Sono passati quarant’anni.