Ti ritrovo così nei miei pensieri domenicali. In quelle ore sornione che separano il risveglio dal pranzo. Guardo fuori, c’è il sole, è una di quelle giornate autunnali che tanto ci piacciono e ti immagino, come fossi qui in questo momento. Gli anni volano così velocemente, perfino con la pandemia, perfino stando a casa, ma niente cambia nella mia mente, sorretta da un’impalcatura di immagini di te.
Ti ritrovo così in una parola, in un sorriso, in una frase letta in qualche libro, nei colori del mio giardino che cambiano ogni giorno, indice della precarietà di tutte le cose dell’universo. Chiudo gli occhi, li riapro, ascolto il battito del mio cuore, unico ticchettio temporale al quale mi affido, in questi giorni di confinamento, lasciando perdere completamente il tempo scandito dagli orologi.
Anni, intervalli temporali ben definiti, scanditi da parametri convenzionali che si scontrano con il nostro vissuto soggettivo. Le stesse ventiquattro ore possono ora volare, ora risultarmi incredibilmente lente, così come un ricordo di anni fa, può apparire alla mia coscienza come fosse avvenuto l’altro ieri, al contrario il ricordo di ieri può sembrarmi lontano secoli. Come Neuroscienziato impazzisco davanti all’enigma del tempo, sia che lo guardi come un parametro dalle mille facce controverse, sia che lo scardini riducendolo alla mera percezione degli eventi che si susseguono. Il cuore invece, al quale mi affido in questi giorni atemporali, che non mi richiedono un planning ossessivo e ritmato, resta l’unico ticchettio affidabile. Tempo che scorre ora lento, ora veloce, in sintonia con la mia esistenza. Unico dilemma, quando scorre più veloce perdo più vita? Perché se così fosse pensarti equivale a una vita più veloce, a una morte che sopraggiunge in anticipo. Scuoto la testa, non voglio entrare in questi meccanismi mentali, che se della morte a meno non si può fare, la paura di essa in vita è da evitare.
Si è alzata una leggera brezza autunnale, non fa freddo, il sole riesce perfino a trasmettermi un po’ di calore. Il mio vicino di casa è uscito per una passeggiata e salutandomi mi ha chiesto cosa ne pensassi di questo momento, se passerà, se tutto andrà per il meglio. Siamo tutti alla ricerca di rassicurazioni, impossibili da dare, impossibili da ricevere. Mi sono strinto nelle spalle e o accennato uno speriamo, che ha avuto più il compito di riempire un vuoto di delusione, creatosi improvvisamente nel metro di distanza tra me e lui, piuttosto che essere vera risposta. Si è allontanato lento, guardandosi la punta delle scarpe, le mani in tasca, l’aria distrutta.
Ti ritrovo così nella sua delusione, nella tristezza delle risposte rimaste sospese, nella speranza riposta in incontri mancati, nel vuoto lasciato dal tempo vissuto, nell’equazione matematica, impossibile da risolvere, che nasconde il segreto del futuro, nella punta delle scarpe che osservo rientrando in casa, negando lo sguardo al mondo intorno a me. Ti ritrovo così e non è un caso, che lasciarti andare non voglio, che se le incognite sul futuro rimangono infinite, almeno il pensiero di te, mi conforta dei numerosi errori, delle soluzioni cercate e non trovate, quando nel peggiore dei casi, erano sbagliate.