Questa mattina il mio Macellaio ha il volto un po’ triste, stanco, come reduce da una notte insonne. Più lo guardo, più mi sembra tormentato da pensieri, paure, ossessioni che gli impediscono perfino di accennare il sorriso, che di solito elargisce ai clienti che entrano. Lo osservo mentre mi prepara quello che gli ho appena chiesto, i suoi tagli non sono precisi come al solito e attraverso il vetro del banco noto anche che le sue mani tremano leggermente. Michel, questo il suo nome, ha la carne più buona del circondario, forse della città e mi piace che il passaggio al suo negozio sia diventata una delle mie routine settimanali.
Mangio carne ogni due giorni e, eccetto rare eccezioni che vedono l’arrivo a casa di qualcuno, a Michel chiedo sempre le stesse cose, tant’è che lui, non appena mi vede entrare, se non ha altri clienti, si mette subito all’opera per servirmi ciò che chiederò. Ma non questa mattina, lontano dalla bottega com’è, perso nel suo rimuginare, mi ha chiesto svogliatamente cosa mi serviva, con lo sguardo serio. Lo capisci al volo, quando le cose per qualcuno non vanno come dovrebbero andare.
Esplorando il bancone noto che sua moglie non è presente, per la prima volta da quando vengo qui, stranezza che si traduce nel senso di vuoto e nella pesantezza dell’aria all’interno del grande negozio, che si riflette sulle brillanti piastrelle rosso scuro, poste a ricoprire interamente le pareti della macelleria. Sangue sul bancone, sangue sui muri.
Eppure, quell’invasione di rosso non l’avevo mai completamente messa a fuoco, tanto i sorrisi, la cordialità, l’accoglienza di Michel e sua moglie, della quale ignoro il nome, la contrastavano con la loro luminosità. Invece, questa mattina, le mani del macellaio tremanti, il suo sguardo vuoto, la carne tagliata quasi svogliatamente, l’aria sospesa come certe superfici rigide, amplificano i toni e quello schiaffo rosso scuro, quasi fosse carne viva, l’interno della macelleria costruito tra le interiora insanguinate di qualche animale, accende in me un’angoscia talmente forte da trasformarsi velocemente in nausea.
Michel appoggia i due involucri di carta gialla sul bancone e mi guarda silenzioso, scordandosi perfino di chiedermi se ho bisogno di altro, piuttosto attendendo una mia eventuale richiesta. Il rosso, la nausea, il cambiamento nel comportamento di quell’uomo solitamente tanto gioviale e accogliente, mi impediscono di chiedere. Avrei voluto anche una salsiccia di fegato e un paio di quelle deliziose andouillette che lui sa preparare così magistralmente, ma preferisco scappar via, tanto la nausea mi attanaglia.
Pago ed esco velocemente in strada, prima di avere un urto di vomito. Respiro l’aria fresca che sussegue a una notte di pioggia. Non appena mi sento un po’ meglio mi volto e guardo attraverso la vetrina del negozio. Michel si sta asciugando gli occhi con un pezzo di scottex. Mi allontano a piedi, diretto verso casa, i pensieri che si susseguono l’uno dietro l’altro e un po’ di dispiacere, per una situazione difficile, che non conosco, che stamattina ho oltrepassato, come un fantasma oltrepassa un muro. Forza Michel, qualunque sia il tuo tormento, forza…