Questa mattina, la signora che vive nell’appartamento sopra il mio, attraversando il giardino della nostra palazzina mi ha visto seduto sull’erba e mi ha salutato alzando il braccio. Ho risposto sorridendo e lei si è avvicinata, cestino di vimini in mano, scialle di lana nero poggiato sulle spalle, come a coprire il peso dei suoi ottanta, forse duemila anni – Vi piacciono i peperoni? – mi ha detto sorridendo. Il voi che i francesi elargiscono agli sconosciuti mi emoziona sempre, mi da l’illusione di vivere in un’altra epoca. Ho risposto in maniera affermativa e lei mi ha porto il cesto, pieno appunto di quell’ortaggio che detto tra me e voi, amo in maniera particolare.

Adesso, mentre davanti ai fornelli mi accingo a preparare una pentola di peperonata, il mio piatto preferito, non posso far a meno di pensare a quando mia nonna la cucinava per me. Scorrendo la mia vita al contrario, realizzo improvvisamente che, nonostante passi molto tempo in cucina, il mio preparare non segue mai una logica, una ricetta scritta. Conosco gli ingredienti e la procedura di base, ma l’obiettivo, nel momento in cui mi metto ai fornelli, non è mai cucinare la miglior peperonata o il miglior ragù, piuttosto riuscire a ricreare quel sapore preciso, quell’odore nostalgico legato a momenti particolari del mio passato, nel caso specifico della peperonata di mia nonna, quell’odore perfetto che sentivo nel momento in cui entravo in cucina, quel sapore incredibile quando, contro il suo volere, infilavo la forchetta nella pentola e assaggiavo.

Rifletto. Si cucino bene, ricevo un sacco di complimenti quando ho ospiti a casa, ma puntualmente, qualsiasi piatto prepari, alla prima forchettata messa in bocca, realizzo sempre di non aver raggiunto lo scopo. Quel sapore, così ricercato, non c’è mai, e quella mancanza mi spinge a provare e riprovare ancora. Sorrido ripensando al critico gastronomico Anton Ego nel cartone animato Disney-Pixar: Ratatouille (2007). Inoltre, mentre affetto la cipolla, penso a tutte quelle persone che si lasciano guidare da ricette scritte sui libri o prese da amici. Mi fa ridere che qualcuno compri il libro di Cannavacciuolo per cucinare le cose come lui, senza mai aver assaggiato un suo piatto. E se poi gli fa schifo come cucina? Cosa se ne fanno del libro? Che poi se la ricetta viene una cagata, magari le persone credono pure che è colpa loro, che non hanno saputo ripeterla perché non sono dotati in cucina, piuttosto che pensare che la ricetta di uno Chef stellato semplicemente non sia così buona, o che quel furbastro gli abbia concesso solo parte dei suoi segreti.

Ripenso a quando ci troviamo a cena a casa di amici e diciamo – Buono questo piatto…qual è la ricetta? – e chi ha cucinato comincia a raccontarci tutto il procedimento tecnico per realizzarla, mentre noi prendiamo appunti. Cazzo io non voglio solo il procedimento, voglio sapere che cavolo di musica stavi ascoltando, come ti sentivi, se eri felice, triste, distratta o sei hai fatto tutto in automatico, e poi, cavolo poi devo aggiungerci il mio stato d’animo nel momento in cui ho messo la forchetta in bocca e le emozioni provate seduto a tavola con gli altri. Ecco, questi sono esattamente gli ingredienti, da mescolare insieme a quelli materiali, altrimenti poi  è logico che ci si trovi costretti a dire, deponendo le armi – Si l’ho fatta, è venuta buona, ma non era meravigliosa come la tua, non mi ha dato quella stessa sensazione, mancava qualcosa! – rassegnati, forse un po’ delusi.

Altro che cucina molecolare, se veramente si desidera andare fino in fondo, bisogna scomporre tutto quanto, non solo il cibo e le sue trasformazioni, ma le immense variabili che si intrecciano tra di loro: stati d’animo, sentimenti, suoni, temperature, caratteristiche della luce diffusa nella cucina. Bisogna andare ai singoli atomi, ben oltre le molecole insomma. Ed è pensando a ciò, alla ricerca del connubio ideale per realizzare la ricetta perfetta, che trovo un parallelismo con tutto quanto, con la vita stessa, vista come il tentativo di ricreare, minuto dopo minuto, quel momento perfetto vissuto in passato e che immancabilmente non riusciamo a ricostruire, creando però un’infinita gamma di varianti anch’esse meravigliose. Cazzo ho bruciato i peperoni.  

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