Walter Tevis è stato un romanziere americano minore che, nel periodo storico dal cinquantanove all’ottantaquattro del secolo scorso, ha concepito sei romanzi e una lunga serie di racconti. Quando dico minore, non intendo che fosse uno scrittore di poco conto, mi riferisco piuttosto al fatto che, in quel particolare momento in America, c’erano nomi molto più incisivi di lui, persone che davvero avrebbero fatto la storia della letteratura, affermati come Steinbeck o in procinto di affermarsi come Salinger, la Harper Lee e tanti altri.

Nonostante ciò Walter Tevis, è stato comunque in grado di ottenere un certo successo popolare. I suoi sei romanzi vennero venduti in diciotto paesi e tre di essi ebbero una trasposizione cinematografica: The Hustler (Lo spaccone, 1961) e The color of Money (Il colore dei soldi, 1986), entrambi interpretati da Paul Newman, il secondo diretto da Martin Scorsese e The man who fell to Earth (L’uomo che cadde sulla terra, 1976), interpretato da David Bowie, che successivamente come seguito al lavoro di Tevis e al film, scrisse le musiche e i testi per il musical Lazarus (2015). L’interesse verso Tevis però, non si è esaurito in quegli anni, poiché recentemente, Scott Frank e Allan Scott ne hanno rispolverato un’altra creatura, realizzando una miniserie per Netflix: The queen’s gambit (La regina degli scacchi, 2020).

La serie, se qualcuno non lo sapesse, ha riscosso un incredibile successo, soprattutto da parte del pubblico femminile. Il motivo di questo seguito si riflette non solo nella bravura dell’attrice, un incredibile Anya Taylor-Joy, e nell’ottimo lavoro di regia, fotografia e sceneggiatura, ma soprattutto nei temi trattati: la solitudine, l’alcolismo, il tentativo di una donna di affermarsi in un mondo quasi completamente maschile, ed ovviamente, il periodo storico in sé stesso, epoca di grandi battaglie culturali e di parità di genere.

Gioco a scacchi da diversi anni oramai. Cominciai nel duemilauno, durante il servizio militare, e da allora non ho più smesso, anche se di rado tra le mie conoscenze trovo qualcuno che ha voglia di giocare e farlo on-line senza vedere l’avversario, non mi diverte. L’esperienza che ho con il gioco, mi ha dato la possibilità di guardare questo prodotto Netflix con due occhi, quello della mia passione per le serie e la cinematografia in generale e quello della passione per il gioco degli scacchi.

Il gambetto di donna (queen’s gambit), titolo del libro e della serie in lingua originale, è una mossa di apertura che consiste nell’avanzamento del pedone alla sinistra della regina e che comporta il sacrificio di un pezzo, per ottenere un vantaggio sulle mosse successive. E’ la mossa con cui Beth apre il gioco nella finale con Borgov. Il giocatore nero, ricordo che il gioco lo aprono sempre i pezzi bianchi, solitamente risponde a questa apertura avanzando il pedone di fronte a quello mosso dall’avversario che per concludere il “gambetto”, sposta a sua volta il pedone alla sinistra del primo pedone mosso, “offrendolo” all’altro giocatore che può decidere se mangiarlo (gambetto di donna accettato) o ignorarlo, muovendo un altro pezzo (gambetto di donna rifiutato). Il gambetto di donna è una mossa che ha avuto grande successo negli anni venti e trenta, del secolo scorso, dopodiché il suo uso è a poco a poco calato con l’evoluzione del gioco. I giocatori infatti, hanno via via preferito risposte non simmetriche alle aperture, per rendere le partite più complesse e non concedere vantaggi agli avversari. Basti pensare che nei mondiali degli ultimi venti anni, quest’apertura è stata usata appena due volte e mai in una finale.

Figuriamoci se un Gran Maestro di scacchi, freddo, bravo, incredibilmente intelligente, Russo, che si trova a giocare in una finale contro un Americana negli anni della guerra fredda, può rispondere all’apertura del gambetto di donna, con un gambetto di donna accettato, come fa Borgov, dando a Beth, un seppur minimo vantaggio nelle mosse successive. O Borgov è stato dipinto male, nel corso dei precedenti episodi e nel libro, di conseguenza non è così freddo e calcolatore come si pensa e quindi si distrae facilmente o il diavolo sta nei dettagli e la serie e il libro, sono l’ennesima rappresentazione delle battaglie femministe, con le donne che ricevono tanti contentini pressoché inutili dal genere maschile, ma mai una vittoria netta, definitiva, concretamente rilevante. Se ci aggiungiamo che il personaggio femminile è costruito in maniera palese sul profilo dello scacchista Bobby Fischer, quindi un uomo, il cerchio si chiude completamente. Le donne non si saranno prese una cotta per una serie che rappresenta lo sgambetto a loro stesse? Il dubbio c’è ed io aspetto l’hashtag #boicottiamolareginadegliscacchi con trepidazione.        

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