Parallelismi tra Livia e mia nonna…

Lunedì di mia figlia, che mi chiama alle otto del mattino dalla macchina della madre, mentre sta andando a scuola. Io, appoggiato al bancone della cucina, osservo nel silenzio il caffè caldo nella tazzina, con indosso mutande, maglietta e un po’ di freddo, i capelli sparsi in ogni dove, cercando di raccogliere le idee, di stabilire le priorità della giornata. Improvvisamente, lo squillo, io che mi allarmo per la chiamata che arriva in un orario decisamente inusuale e la voce di Livia che, nel momento in cui rispondo, urla – Buongiorno papà! Volevo salutarti… – con un tono di voce talmente felice, da riempire istantaneamente la casa di quell’aria sbarazzina e spensierata che circola solo quando c’è lei a viverla. Parliamo un po’, giochiamo con le parole, la prendo in giro e lei ride. Dalla radio dell’auto arriva la voce di Freddie Mercury, che canta A kind of Magic. Accenno qualche parola del testo, lei mi chiede che cosa sto dicendo, poi capisce che sto cantando la canzone e prova a unirsi, farfugliando parole senza senso. Ridiamo entrambi. Poi, come fa ogni volta che chiama, interrompe il discorso – Adesso devo andare! – dice, manda un bacio e riattacca quasi contemporaneamente, senza aspettare i miei saluti. Io immancabilmente, come ogni volta, resto come un ebete a fissare il telefono per qualche secondo, prima di realizzare che la chiamata è finita, poi sorrido, poggio l’apparecchio sul tavolo e mi metto a fare altro, pensando a mia nonna.

Il legame tra mia nonna e Livia è a filo doppio. Da piccola, quando sorrideva, diventava la sua copia sputata, poi è cresciuta e si è trasformata nella versione in miniatura di sua mamma, ma questo suo vizio di attaccare il telefono per prima, senza attendere i saluti, continua ad alimentare questa sorta di parallelismo che c’è tra di loro. Anche mia nonna attaccava il telefono prima che la chiamata fosse conclusa, prima dei saluti, sia che a chiamare fosse lei, sia che qualcuno la stesse chiamando. Per anni noi della famiglia ci siamo chiesti il perché di questo comportamento, che, in una bambina di quasi cinque anni può anche non sembrare così assurdo, ma in una donna di sessanta lascia comunque spiazzati, senza saper trovare spiegazione alcuna. Un giorno, stanco di restare ogni volta con la cornetta in mano a parlare al silenzio, le domandai perché attaccasse sempre il telefono così, improvvisamente, a chiamata non ancora finita. Mia nonna, con lo sguardo di chi la sa lunga mi fissò negli occhi e come se stesse per confidarmi il segreto dei segreti abbassò la voce e parlò – Vedi Claudio, quando chiami qualcuno o ti chiamano, la telefonata come sai la paghiamo…quello che non sai è che a pagare è sempre quello che attacca il telefono per ultimo! –  disse, poi mi strizzò l’occhio e si batté l’indice della mano destra sulla tempia.

Rido, ripensando al sorriso di mia nonna dopo questa rivelazione, che si trasforma istantaneamente nel sorriso di mia figlia da piccola, dopodiché finisco di bere il caffè e mi accingo a cominciare le operazioni della mattina. Con un inizio così, non posso che aspettarmi una splendida settimana, ne sono certo.

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