Apro gli occhi, mi ritrovo nel mio letto. Una delle cose che più mi affascinano della vita è quel repentino passaggio, che a volte si ha la fortuna di percepire, tra il sogno e la realtà. Poco fa stavo parlando con Federico Fellini e Woody Allen del capolavoro di Ingmar Bergman Smultronstället (Il posto delle fragole, 1957), adesso invece mi guardo intorno, spaesato, la sveglia che segna le cinque del mattino, fuori ancora il buio.
Accendo l’abat-jour sul comodino e mi siedo sul letto. Sono di cattivo umore. Federico, mentre commentavamo il film di Bergman, mi ha dato il titolo di un altro lungometraggio, consigliandomene la visione, ma io purtroppo non lo ricordo. Spengo la luce, provo a riprendere sonno, ma non riesco a lasciarmi andare e dopo dieci minuti di tentativi cedo al risveglio.
Decido di alzarmi e mi metto a passeggiare per la stanza, cercando di riportare alla memoria quello che io e i due celebri registi, ci siamo detti durante la proiezione del film, al buio di una sala cinematografica completamente vuota. Niente, ricordo di aver riso ad alcune battute di Woody e di aver ascoltato con interesse alcuni commenti di Federico su Bibi Anderson e Ingrid Thulin, ma le parole e soprattutto il titolo di quel film consigliatomi appena prima del risveglio, sono letteralmente svaniti dalla mia memoria.
Cammino sul tappeto, intorno alla poltrona, le mani serrate dietro la schiena, l’atteggiamento di un pazzo internato in qualche manicomio, cercando di ripercorrere tutti i momenti del sogno, mentre le immagini velocemente, ad una ad una, sfumano nell’oblio. Quel tentativo di afferrare, di imprimere definitivamente il ricordo nella mia mente, per far sì che non svanisca, come è successo per molti sogni di cui ho perso la memoria, è frustrante. Mi ricorda tantissimo quella scena del film Eternal sunshine of the spotless mind (Se mi lasci ti cancello, 2004) di Michel Gondry in cui Jim Carrey e Kate Winsley fuggono attraverso i ricordi che scompaiono.
Mi avvicino al comodino, afferro il quaderno delle note che tengo sempre a portata di mano e comincio a scrivere. Il risveglio, Bergman, Fellini, Allen, le battute, i commenti sulle attrici, la sala di proiezione vuota. Poi il niente, il resto del sogno è sparito completamente nell’oblio – Vaffanculo, detesto quando le giornate cominciano così, sulle note di un’occasione mancata! – penso, mentre il telefono appoggiato sulla scrivania vibra nel silenzio.
Mi avvicino al tavolo, il nome di un amico si accende sul display. Apro il messaggio, leggo – Io non capisco come fai a dire che il progresso tecnologico non è evoluzione…ascolta questo… – mi scrive, dopodiché compare un messaggio vocale – Ok Google, fai una scoreggia… – dice la voce nella registrazione. Google risponde – Non credo di esserne capace, ma ci provo… prrrrrrrrr… direi che ci sono riuscito! – sorrido, a giudicare dalle premesse, anche questa giornata sarà un successo.