Mezzanotte. Nel silenzio che avvolge il giardino e il quartiere tutt’intorno, pochi gradi di temperatura, un misero spicchio di luna concesso al mortale sguardo di chi ancora sveglio, guarda in su, a sperare in qualche visione mistica, chiudo gli occhi, piango e non so il perché.
Percepisco i brividi lungo la mia colonna vertebrale, fatta di ossa levigate dalla brezza degli e-venti passati, dal sudore dei giorni duri, dal vibrare del mio corpo agitato dalle risa, nei momenti più belli. La vita è così, qualche quintale di minuti, venduti al migliore o al peggiore offerente, a seconda dei casi, del valore che sul momento gli attribuiamo.
Osservo la notte fuori, il buio in casa, mi sembra di intravedere ombre inquietanti, figure in movimento. Chiedo loro di agitarsi e quelle in tutta risposta vibrano, quasi tremassero, chiedo loro di restare immobili e quelle si fermano, tornano a essere la silhouette di un cassettone, quella dell’armadio, un poggia abiti, alcune camicie appese all’attaccapanni.
Asciugo le lacrime, la struggente dolcezza farcita d’inquietudine, che colora di scuro la notte, è forse la cosa più commovente che mi capita di percepire attraverso le minuscole antenne di una impalpabile sensibilità radicata nel mio cuore. Siedo alla scrivania, le mani dietro la testa, osservo la stanza intorno a me, cerco risposte ad antiche domande, vago senza meta tra i miei neuroni.
Le sinapsi s’infiammano, le immagino e questa cosa mi fa stare bene. Mi piace visualizzare l’incredibile ammontare di connessioni all’interno del mio cervello, mi fa sentire meno piccolo all’interno dell’infinito universo, mi fa sentire meno solo, interconnesso tra me e il tutto circostante.
Un messaggio sul telefono, un caro amico di vecchia data, che conosce bene le mie inquiete abitudini, mi chiede come sto e mi informa di alcuni avvenimenti. Anche lui, vittima d’insonnie raramente sopite, lo immagino seduto a una scrivania simile alla mia, avvolto dallo stesso buio, solo. Sorrido, vorrei rispondere, ma un po’ il mal di testa, un po’ la febbre, un po’ lo stato d’animo, poggio il telefono sul comodino e torno a distendermi nel letto, un’altra delle mie regole: se non ho, non do, la merce non va distribuita se non è di ottima qualità a prescindere dal valore che gli attribuiamo.