Una delle cose più assurde, in cui mi capita di imbattermi spesso quando leggo su internet, sono i cosiddetti: tempi di lettura, menzionati all’inizio di molti articoli di giornale o di pezzi pubblicati su blog privati. Esiste una denigrazione più grande? Tu, autore del lavoro, giornalista, scrittore, esperto, impieghi da un minimo di un’ora a un massimo di un pomeriggio, un giorno o addirittura più giorni per completare un articolo, dopodiché qualcuno appone questo incredibile sigillo temporale sul tuo prodotto: tempo di lettura – tre minuti, che si traduce in un meno sobrio: un pomeriggio del tuo lavoro = tre minuti di tempo del lettore medio. A me una cosa di questo tipo farebbe proprio girare le palle, visto l’impegno che ci metto per inserire all’interno di uno scritto quanti più elementi possibili, atti a stimolare il lettore alla riflessione.
Certo se il blog è tuo, sei tu che decidi i tempi da menzionare, quindi puoi essere più o meno magnanimo con il pezzo di vita che tu stesso hai impiegato per vomitare un articolo, puoi concedergli magari un po’ più di valore; ma cosa succede in ambito giornalistico per esempio? Come si quantificano questi tempi? Si considerano i minuti medi di permanenza su una notizia? Il numero delle parole? La lunghezza del pezzo? Il tipo di argomento? O è un numero completamente aleatorio?
A me pare un dato completamente assurdo, a che serve? È un numero per informare il lettore che può leggere l’articolo per intero se gli restano quei minuti di viaggio in metropolitana? O per informarlo riguardo il quantitativo attenzionale che dovrà rivolgere al pezzo? Oppure è un modo per fargli capire in maniera quasi impercettibile che l’articolo che si appresta a leggere fa schifo? No perché, se su un articolo di tremila caratteri che parla di Intelligenza Artificiale o Politica Internazionale, troviamo scritto: tempi di lettura – cinque minuti è lecito anche porsi questo problema.
Mi chiedo se voi percepiate l’assurdità di questa cosa come la percepisco io, che leggo Proust sul tragitto per andare a lavoro, fottendomene dei minuti che impiegherò per rileggere da capo la stessa frase che non riesco a capire o a terminare perché: un bimbo mi piange nelle orecchie, dei ragazzini gridano, devo cambiare linea di metro, prendere il caffè, evitare le merde di cane.
In altre parole, se i minuti menzionati sono soltanto relativi al tempo generale di lettura, senza riflessioni, senza pensiero alcuno, solo leggere come un robot quello che appare sulla pagina, mi spiegate dove va a finire l’utilità del leggere e dell’informarsi? La percepite la sottigliezza della superficialità?
Il tempo di lettura menzionato all’inizio degli articoli è inutile, invalidante nei confronti di chi ha fatto il lavoro, offensivo nei confronti di chi legge, è una cosa che andrebbe rimossa immediatamente, ovunque, perché implicitamente, ci rende tutti un po’ più stupidi, faciloni, superficiali.
Qualcuno potrebbe controbattere – ma con tutti i problemi che ci sono nel mondo…ecc…ecc… – mi viene da rispondere che quasi tutti i problemi che ci troviamo ad affrontare oggi, hanno la stessa origine, la superficialità e questa nasce da piccole cose, come quella che ho menzionato in questo pezzo.