Notte di luna piena a guardare il mondo, di fantasmi rimasti impigliati tra le tende chiuse, di paure appese alle pareti, ombre scure, che si allungano lente a toccare le coperte, cercando di afferrarmi. Rumori strani che si alternano al silenzio, scricchiolii, cigolii, passi che si perdono in lontananza, chissà dove. Fuori un cane abbaia con insistenza ed io non trovo di meglio da fare che alzarmi, la notte esige il pagamento di un tributo, a volte.
Accendo la luce, mi infilo i primi indumenti che trovo a portata di mano, guardo l’orologio, sono le quattro del mattino. Mi trasferisco in cucina, lentamente e distrattamente, comincio le prime operazioni della giornata, preparo il caffè, abbrustolisco il pane per le tartine, scaldo il latte. Sono movimenti imprecisi, i miei, risultato di una notte piena di incubi, del poco sonno, forse di stanchezza e stress latente, accumulati negli ultimi mesi in maniera quasi del tutto automatica.
Mi siedo al bancone della cucina, osservo la fiammella blu del gas sotto la moka, mi perdo in pensieri lontani. Non mi vedo, ma percepisco la mia espressione ebete, assonnata, lo sguardo intontito diretto verso il vuoto, gli occhi quasi del tutto immobili, abbandono il mio corpo.
Mi allontano da casa mia, sono altrove, un villaggio perduto tra le montagne, dove tanti anni fa mi ritrovai quasi per caso. Sto facendo colazione a uno dei tavolini sistemati sulla terrazza di un caffè, di fronte a me le cime innevate. Improvvisamente la mia attenzione è richiamata da alcune voci che provengono da una stradina poco distante, mi volto verso quella direzione e noto un negozio di strumenti musicali.
Il borbottio della moka mi riporta al presente, ad indicarmi che il caffè è quasi pronto. Preparo la tazzina, lo zucchero, penso alla chitarra che comprai in quel negozio, subito dopo aver finito quella colazione e scuoto la testa. In questo momento il mio strumento si trova a casa di una carissima amica, Francesca, glielo prestai perché voleva imparare a suonarlo, convinto che ci saremmo rivisti di lì a qualche mese e che l’avrei recuperato, non è stato così. Sono almeno due anni che non suono e che non vedo la mia amica. Avrei potuto comprare un’altra chitarra, ma ho sempre rimandato, pensando che prima o poi il tempo di tornare, di ritrovare la mia musica e la compagnia di Francesca, sarebbe venuto, e in questa condizione, ancora attendo.
Sorrido, non è un caso che pensi a queste cose proprio in questo momento, mentre l’odore del caffè si spande un po’ ovunque, quello di Francesca era il più fenomenale che abbia mai bevuto.