Marseille, Narragansett e deliri nella notte…

Cammino nella notte. Non riuscendo a dormire, in barba al coprifuoco che vige oramai da qualche mese qui in Francia, e che ci richiede di stare in casa dalle diciotto alle sette del mattino, mi sono messo addosso qualcosa di pesante e sono uscito. L’orologio indica le due di notte, fa freddo – Una passeggiata di un’ora, un po’ di riflessioni…dovrebbero bastare a conciliare il mio sonno… – penso, mentre attraverso il giardino, oltrepasso il cancello ed esco in strada. Fuori non c’è nessuno, il cielo è coperto di nuvoloni grigi spennellati di un arancione inquietante, riflesso dei lampioni accesi, tonalità infernali agli occhi del viandante. C’è un po’ di foschia, Marseille di notte è un’altra città, un luogo che di giorno non esiste, un non-luogo costruito su angoscia, paura, mistero, un labirinto impossibile da esplorare, se non ci si perde completamente in esso, con il rischio di non ritrovarsi più. 

Sono molto più in simbiosi con la Marseille notturna, piuttosto che con quella diurna. Quando su questo agglomerato urbano, contenitore di anime multietniche che hanno contribuito a condurre qui, in questo lembo di mondo, culture, usanze, pensieri, credenze incredibilmente diverse, cala la notte, una parte di me si sente più a suo agio, l’altra è meravigliosamente angosciata. 

È come se Lovecraft si fosse ispirato a un posto come questo, quando parlava di porte aperte su assurdi universi, anche se so che non è così, o forse lo è, ma solo indirettamente. Ricordo infatti, che durante un mio viaggio attraverso il New England, provai una sensazione molto simile a quella che provo adesso, e in generale vagando di notte per le vie di Marseille, quando giunsi a Narragansett, una cittadina affacciata sull’oceano, a qualche chilometro da Providence. Lovecraft era particolarmente legato a quel posto e fu lì che ambientò il racconto: The festival (1925), dove introdusse per la prima volta, il mito di Cthulhu. L’unica differenza tra i due luoghi è che questo sentimento che provo qui a notte inoltrata, a Narragansett lo provavo anche di giorno, tanto era misteriosa e allo stesso tempo angosciante, l’aria che ristagnava tra gli acquitrini, attorno alle grandi e antiche dimore dalle facciate inquietanti, appena fuori il piccolo e ridente stato del Rhode Island, con i suoi abitanti ricchi, le barche a vela ormeggiate praticamente ovunque, la tranquillità e il lusso.

Ecco l’uomo, che colto improvvisamente dall’angoscia, cerca rifugio in pensieri più tranquilli, in sorrisi presenti o passati. Pensare al Rhode Island mi ha fatto tornare in mente i video in bianco e nero della famiglia Kennedy, che in quello stato passava le vacanze estive. Il marito di una collega conosciuta a Chicago, è il figlio di quella che è stata la tata di Arabella e Caroline Bouvier, le due figlie del presidente. Ricordo che durante una serata particolarmente alcolica, in un pub disperso da qualche parte, nella periferia nord di Chicago, quel ragazzo, forse per vantarsi, più probabilmente per far conversazione, tirò fuori la foto della madre con JFK, Jacquieline e le due figlie e raccontò un po’ della sua storia. Io, in un attimo di folle euforia innaffiata di whiskey, afferrai la foto e la mostrai al barista che mi stava servendo un bicchiere di Wild Turkey – Ehi tu! Guarda qui! Questa è sua madre con la famiglia Kennedy!! Con il mitico JFK!!! – gridai, suscitando la curiosità di alcuni giocatori di biliardo e di un uomo che lanciava freccette contro un bersaglio – Qui siamo tutti repubblicani… – disse lui sputando per terra e farfugliando una frase che conteneva indubbiamente la parola merda.

Sorrido, la via di fronte a me è vuota, non c’è segno di presenza umana intorno, guardo l’orologio, sono le quattro – Forse è ora di rientrare… – penso contrariato, mentre si palesa ai miei occhi la possibilità di un’altra notte insonne.

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