Venerdì, infelicità, felicità…

Venerdì di pioggia. Il venerdì è il giorno che sacrifico alla mia infelicità, e va bene così. L’infelicità mi è necessaria, deve esistere in me, fluire nelle mie vene come sangue in circolo, è una delle mie parti più belle, è una delle mie parti più vere. Ne ho bisogno, il sentirla scivolare nel mio corpo, mi aiuta ad attraversare lo specchio, a cadere in stati mentali necessari alla mia esistenza stessa, perché no, potrei spingermi a dire che mi aiuta a vivere e, compagna fedele, mi accompagna, minuto dopo minuto, al mio appuntamento con la morte. 

Invecchiamo insieme, io e la mia infelicità, solo che io, più la morte si avvicina, più mi faccio giovane, felice, più mi rafforzo, per lei è il contrario e da forte com’era anni fa, diventa ogni giorno più debole, curva, affaticata. A volte, nel nostro cammino insieme, sono io a doverla sostenere, a doverla aiutare a stendere i passi, in un continuo soffermarsi, prendere fiato, ripartire.

A dimostrazione di ciò, potrei dire che la sua forza, con la quale anni fa si abbatteva ogni giorno su di me con effetti devastanti, si è ridotta a tal punto che nel presente, sono costretto ad accumulare ciò che rilascia giornalmente, per liberare poi quell’energia nel giorno a lei dedicato, il venerdì, e poterne veramente apprezzare l’effetto, come un tempo.

Per tutta la settimana la raccolgo diligentemente, alla sera, prima di addormentarmi. La accumulo all’interno di un vaso cinese, comprato in un mercatino dell’antiquariato, durante un periodo della mia vita vissuto a New York, una riproduzione, del valore di pochi dollari, di qualche oggetto più antico, recante immagini di dragoni, fiori, uccelli, scimmie, che si staccano da un fondo blu elettrico, rifinito da pennellate di oro sui bordi. La accumulo li dentro, la mia infelicità giornaliera, in quell’agglomerato di argilla e pittura, dopodiché, attendo con pazienza il giorno da me scelto per aprirlo, il venerdì. 

Quando al mattino del quinto giorno della settimana, tolgo il coperchio del vaso, quel che succede già si sa, lo so io, e se mi leggete, lo sapete anche voi. Difficile sapere dove sprofonderò, difficile sapere quale cammino prenderanno i miei pensieri, difficile intuire se e come tornerò, ma cazzo, quanto è liberatorio questo giorno che odio, questo giorno che amo, questo giorno che mi porta dove nessuno potrà mai portarmi, al mio appuntamento con quel granello di felicità che quest’esistenza mi concede.

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