Io, disteso sull’erba in giardino, pezzo di mondo che amo, qualche uccello che cinguetta nel cielo azzurro, il sole che lentamente esce da dietro le colline, gli alberi in fiore, qualche risata bambina che giunge da un cortile poco distante, le finestre del palazzo che lentamente si aprono, risveglio di vicini che si scontra con i miei occhi, spalancati all’universo già da un bel po’, da prima che il giorno nascesse.
Io, che dopo una notte passata errando nel mio subconscio, dove ho incontrato te, una parte di me che non vedevo da secoli, mio padre, mia madre, il gatto nero che salvai da un fiume in alta montagna e che visse con me per qualche tempo, torno di nuovo alla realtà e butto fuori tutto, scrivendo, disegnando, parlando, raccontando, e facendo ben attenzione, a portar dentro di me il meno possibile, lo stretto indispensabile, lasciando al destino del mondo tutto il resto. Il camion della raccolta differenziata passerà stanotte, come ogni venerdì, ed avrà molto da caricare, quando si fermerà dirimpetto al mio cancello.
Io, che spesso non so dire, che le parole mi sfuggono, la memoria fallisce, che mi perdo in mille pensieri generati dai miei sogni, dai miei incubi peggiori, costrutti mentali che non posso controllare fin quando non li metto nero su bianco qui, su questa pagina, o altrove, altri fogli, altri supporti.
Io, che il mistero del sogno in perenne scontro con la realtà non lo capisco e tutto mi sembra così unito, amalgamato, un pasticcio da mangiare e vomitare, creazione di un qualcosa da condividere, metafora dell’esistenza, battaglia tra la vita e la morte, necessità di sopravvivere ad essa, come si sopravvive alla realtà, nell’attesa di tornare definitivamente a sognare.