Fiori di mughetto, bianche campanelle, esplosione di vita davanti alla porta finestra che da sul mio giardino. Sono la prima cosa che vedo, aperte le tende e lasciato entrare il sole nella mia stanza, che il loro bianco candido, in mezzo al verde dell’erba, attrae subito la mia attenzione, che il loro muoversi delicato, il vento dolce, lieve, primaverile, caldo, a cullarle, quasi mi ipnotizza, ondeggiare leggero tra me e l’infinito.
Tutt’altra storia se ripenso al sogno interrotto qualche minuto fa, il me onirico legato, imbavagliato, disteso in una roccia cava, fredda, una foresta buia tutt’intorno, nessuna stella in cielo a darmi conforto e ombre scure che danzavano, movimenti isterici, ossessivi, gridando frasi in un linguaggio per me incomprensibile.
L’oscurità della paura e il bianco del mughetto, oscillazioni, equilibri esistenziali che mi permettono di stendere i miei passi attraverso questa esistenza, all’interno della quale, con un ossessiva e ripetitiva alternanza, mi perdo e mi ritrovo. A tratti percepisco il battito del mio cuore, a tratti il silenzio più profondo, mondo parallelo, inferno personale dove spesso trovo rifugio e dal quale riesco a tornare, solo grazie a queste piccole meraviglie della vita.
Sorrido, apro la porta finestra, mi lascio accarezzare dalla brezza primaverile. Un profumo dolce invade le mie narici, il cuore si lascia andare a un pianto liberatorio, lo stress della notte scompare a poco a poco, sensazione di tranquillità, l’urgenza del vivere e perché no, anche del morire, che cresce nuovamente in me. Mi sento ancora parte del tutto.
Cose così, sentimenti sparsi che scrosciano in me in un martedì mattina come tanti. Chiudo la finestra, comincio le prime operazioni del giorno, abbraccio la vita, mi sento felice.