Quel che penso di te, ne scrivo, a volte, parole, pensieri, prati in fiore, colline erbose, un cielo azzurro, una tromba che suona e poi, il dormiente silenzio. Secoli passati così, andirivieni dell’anima, partenze, arrivi, un treno che fischia correndo via lontano, mondo che scorre al di là del vetro, estremo saluto, svanito nell’abbraccio di un’alba come tante, un mondo a me sconosciuto oltre la porta della camera, palcoscenico nascosto da un sipario chiuso, teatro addormentato. Mai più presenzierò alla prima di quell’agognato ultimo spettacolo.
Sorrido – Ma che vuoi farci… – mi dico malinconico, una tazza di caffè sul comptoir della cucina, caos culinario, bazar che ricorda quei banchi, quei mercati caotici, viaggi a noi cari, posti esotici, colazioni sul tetto di un albergo sperduto, nella medina di qualche città affacciata sul mediterraneo, lo stesso cielo azzurro, mondi diversi, tu che resti, io che parto, io che resto, tu che parti, il cancello di un camposanto, cipressi scuri, giovinetti invecchiati, se non deceduti.
Così, calendari sfogliati, giorni spesi a guardar lontano, stagioni che si susseguono, i loro colori a riflettere quello dei tuoi capelli, che lunghi si distendono da qui all’infinito, prima di cadere, prima di scomparire, come tutto il resto. E mentre le albe diventano sere, e assistiamo a nascite, a morti, un cardellino si posa sulla tua spalla, e tu, non ti muovi, vuoi che resti, immobile statua di marmo scolpita dalla mano di chissà quale scultore visionario, trasformata in pietra da chissà quale sguardo, forse proprio il mio. Mi commuove ciò che va, ciò che resta, un attimo prima di svanire, il nulla che si spande ovunque, sento il cuore, da tempo incerto, battere sicuro.
Così un’altra ora, rintocchi sordi provenienti dal campanile della chiesa poco distante, non ricordo più i nomi delle campane, non ricordo più un sacco di cose, malinconie che mi scivolano sulla pelle, tentativi vani di preservare tutto – La terra stanca ti sia lieve… – penso, mentre osservo il ciliegio in fiore. Il cardellino allenta la stretta sul ramo e vola via lontano, una lacrima scende sul mio volto, un soffio di vento improvviso fa tremare le foglie, i fili d’erba, fa tremare me, mentre una nuvola bianca si sposta e i raggi del sole tornano a scaldarmi, momento di grazia, il cielo azzurro, lo stesso, incerto divenire, incerto resistere, ancora un giorno, alla morte.