Mi siedo al centro del giardino, chiudo gli occhi, penso a me, e nel silenzio, i ricordi si accavallano l’uno sull’altro, presenze, persistenze, gocce di rugiada scivolano su fili d’erba, un’ape ronza intorno alla lavanda in fiore, un soffio di vento delicato mi spettina, il calore del sole sul mio volto, sorrido, un cane abbaia, qualcuno lo sgrida violentemente per qualche secondo, il silenzio, cinguettio di uccelli, torna a regnare, ed io viaggio altrove, oltre lo spazio e il tempo, mi alzo in volo, il cuore non batte più, corpo svanito, leggerezza, plano sulle cose, sulle persone, sulle situazioni, sulle favole che si stendono per l’intero universo, milioni di inafferrabili realtà, infinite possibilità di interpretazione di esse, il rumore del piano di un amico, la voce di una persona cara, il tuo sorriso, un abbraccio, un bacio, idee curiose, desideri, carezze alla morte che dolcemente attende al di là del mare, onde su onde, il loro schizzare a bagnarmi il volto, invito al naufragare, invito all’affondare, all’inabissarsi nelle profondità del pensiero, del vissuto, dell’accumulo di informazioni, esperienze, giorni passati, esistenza cellulare, molecolare, atomica, giù, giù, e poi giù, fino al cuore del problema, confronto con la verità, faccia a faccia con sé stessi, al cospetto del grande e magico specchio, immagine riflessa, distorta, che muovendo la bocca, il volto, ci chiede, si chiede, mi chiede, chi siamo, cosa siamo, dove andiamo, e non c’è risposta alcuna da dare, se non smembrarsi, lacerarsi la carne, strappar via i propri organi e, preso in mano il cuore pulsante, spezzatolo in due, biscotto della fortuna cinese, trovar al suo interno un biglietto con su scritto: la domanda è la risposta, un pescecane, attirato dall’odore del sangue, a inghiottire ciò che rimane di noi, mentre metabolizziamo la nostra terribile scoperta.
Apro gli occhi, l’ape ronza sempre intorno alla lavanda, si avvicina alla mia mano e poi, indisturbata, vola via lontano, quasi sfiorando un picchio, che posatosi sul ramo del salice piangente, guarda in direzione del cane, che nel frattempo ha ripreso ad abbaiare contro le foglie della siepe, contro il loro movimento impazzito, causato da un soffio di vento più forte che spinge via le nuvole bianche, a gran velocità, mentre il gatto dei vicini mi osserva, non muove un passo, nella sua staticità percepisco la mia coscienza, nel dinamismo del mondo il mio essere, e nei suoi occhi brillanti, intravedo lo specchio, la grande domanda senza risposta, apro la camicia, sulla mia pelle, cicatrici ovunque.