Assurdo, inquieto venerdì…

Venerdì inquieto, di quelli che tardano a rivelarsi, a confessare la loro vera natura, venerdì misterioso, forse traditore, il cuore che batte forte, allarmato, urgente, dolore alla spalla destra, nessuna voglia di dare il via alla lunga serie di incombenze annotate sul calendario. Venerdì assurdo, già lo percepisco, desideri nascosti, perversioni inconfessabili che accarezzano la mia pelle, idee malsane, voglia di perdermi in luoghi antichi sperduti chissà dove, ruderi di speranze sfumate, rovine lasciate alla terra, vestigia, testimonianze dei tempi che furono, megalomanie passate esplose in un niente, mattoni e vetri rotti a cantarne la gloria passata.

Mi siedo in giardino, per terra, sotto il salice piangente, nuova fioritura in corso, appoggio la schiena al suo tronco, chiudo gli occhi, respiro profondamente, il battito del cuore rallenta, ritrovo la pace interiore, ed esco dal mio corpo. 

Succede improvvisamente, percepisco le ossa, la pelle, la carne, le interiora, come incollate al tronco dell’albero, alla terra, mentre io, o almeno quella parte di me che in questo momento sta scrivendo, al di fuori, sospeso a mezz’aria, le osservo, ruderi di speranze passate, rovine lasciate alla terra, vestigia inutili, che presto in essa scompariranno, inghiottite, trasformate in altro, il me, quello che sta scrivendo, a perenne, invisibile memoria di tutto quello che sarà successo, sfumato, nel corso della mia vita. 

È una sensazione incredibilmente triste, fuori dal tempo, fuori dallo spazio, che riesco a descrivere soltanto in maniera superficiale, tanto l’esperienza che provo è intensa, attimi incredibili, il sollevarmi alto nel cielo, su, attraverso l’atmosfera, l’universo infinito a circondarmi, silenzio ovunque, qualche sbrilluccichio stellare, vita e morte che coesistono, miliardi di pensieri e ricordi che si accavallano l’uno sull’altro, sensazione di pienezza, esplosione nucleare, inquietudine, paura, l’orrore e poi, improvvisamente, il risucchio, quasi come se qualcuno avesse tolto il tappo dal tubo dello scarico di una vasca bagno, ed io fossi trascinato via con l’acqua, il sangue, un battito di ciglia, sono di nuovo nel mio corpo, il mondo intorno a me. 

Mi alzo a fatica, il cuore che batte forte, mi sento frastornato, confuso, sperduto, mi sento un altro. Resto appoggiato al tronco dell’albero per qualche secondo, poi, tento di raggiungere la porta di casa, mi incammino, inciampo, perdo conoscenza e cado a terra, morto.

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