Ti guardo negli occhi – Vieni più vicino… – ti dico, e tu, tu ti alzi, sospesa a mezz’aria, non cammini, fluttui, a metà tra un mondo onirico e quello reale ti trovi, mi raggiungi, ti sfioro, le mie dita attraversano il tuo corpo – Vorrei abbracciarti, ma scusami, io, io proprio non ce la faccio… – ti dico, ed una lacrima scende giù lungo la guancia, quella stessa guancia che tu tenti di accarezzare e che non riesci a toccare.
Io e te, anime che coesistono insieme, connesse, impossibile lasciarsi, secoli d’amore che si allungano tra il tuo esser madre e il mio esserti figlio – Sai, il mondo non è più così interessante da quando te ne sei andata… da trent’anni a questa parte lo trovo terribilmente noioso… eri tu, il centro del mio universo? Era questo amore che, cazzo, non sono proprio riuscito a darti, che avrebbe dovuto colorare di tonalità a me adesso sconosciute, questa mia esistenza? – ti chiedo. Tu sorridi, scuoti la testa, ti accarezzi i lunghi capelli biondi, poi lentamente ti avvicini, e mi sussurri una frase all’orecchio.
È un momento incredibilmente strano, percepisco e non percepisco, capisco e non capisco, quello che so però, è che quelle parole che pronunci, quella musicalità, non le ho mai sentite da nessuna parte, e il cuore freme, ogni mia cellula si commuove, la pioggia cade più forte, il silenzio che regna in casa si fa più triste, le luci si spengono, spirito tu, spirito io, tristi entrambi, l’uno alla ricerca dell’altro.
Chiudo gli occhi e velocemente li riapro, non ci sei più, ma le tue parole risuonano nella mia testa, come la pallina di un flipper rimbalzano da un neurone all’altro, connessioni eccitate, immagini di noi che scorrono davanti ai miei occhi, lacrime che scendono ininterrotte, pioggia che continua a cadere, il cuore che, battendo sempre più forte, quasi mi sfonda il petto.
Mi alzo, prendo un quaderno, comincio a scrivere quello che mi hai appena detto, la mano tremante che scorre sul foglio, lettere distorte di colore blu appaiono sulla carta bianca, sassolini seminati sul tragitto, per ritrovare il cammino che mi porterà a te.
È mattino inoltrato quando finalmente chiudo il quaderno, oramai completamente riempito delle mie parole, la penna appoggiata a pochi centimetri dalla mano destra – Adesso, adesso so dove porta la mia strada… – dico a voce alta, convinto che tu mi ascolti, mentre mi infilo nel letto e mi addormento tranquillo.