Passeggio in giardino, e rifletto sulle cose da fare oggi, una tazzina di caffè stretta nella mano destra, poca voglia di attraversare la giornata appena iniziata. Madame Courriel, si occupa dei suoi gerani rossi sistemati sul terrazzo, mentre canta una vecchia canzone di Edith Piaf, monsieur Ricard invece, è seduto su una panchina di fianco all’ingresso del palazzo, il mento appoggiato sulla sua mazza di legno, osserva il ciliegio, puntini rossi che cominciano a spuntare in mezzo al fogliame verde, uccellini che svolazzano, cinguettando, tra i rami, a beccarne i primi frutti.
Sorrido, tranquillità di un giorno festivo, lunedì che qualche volta si trasformano in domeniche – …a volte succede, che le routine vengano frantumate… – penso, le voci di alcuni bambini che giocano al pallone nel cortile di fianco al mio, l’odore proveniente dalla cucina di qualcuno, che in mezzo ai fornelli, già comincia a preparare il pranzo, il cielo azzurro a riempire i miei occhi, il sapore del primo caffè della giornata in bocca, il calore della tazzina che riscalda le mie dita, un soffio di vento leggero che mi accarezza il volto, il mio universo sensoriale racchiuso in questo brevissimo istante.
Respiro profondamente, dovrei mettermi a scrivere, e forse tra qualche minuto lo farò, per adesso, però, mi godo questo momento di pace, prima di entrare nel tumulto dei miei pensieri, nelle profondità di quello che sento, nel mio inferno personale, luogo che esploro assiduamente alla ricerca di quelle informazioni che poi riporto su carta. Il mio lavoro dipende da questo, da ciò che troverò in quel terribile sottosuolo, dove gioie e dolori vanno a braccetto, dove tra realtà e fantasia non c’è differenza alcuna, dove può succedere di tutto, posto che odio e che amo, dal quale, ogni volta, fatico a ritornare.
Colpa dei miei demoni, ogni volta mi tentano, vorrebbero che restassi lì, in quel mondo all’interno del quale, la perdita di senno è assicurata, vorrebbero che restassi lì a diventar parte integrante della mia stessa creazione infernale, signore indiscusso della fossa che mi sono scavato con le mie stessa mani. Invece no, scendo, prendo quello di cui ho bisogno e fuggo via, il corpo sempre più martoriato, graffi e ferite ovunque.
Un giorno, forse, non riuscirò a scappare, resterò prigioniero di quel mondo da me creato, nell’attesa che quel momento venga però, mi difendo così, chiudo gli occhi, bevo l’ultimo sorso di caffè, respiro il vento, ascolto i bambini ridere, la mia vicina cantare Edith Piaf, monsieur Ricard imprecare contro gli uccellini che hanno preso d’assalto il ciliegio, e la tranquillità, mi avvolge.