Il gatto dei vicini, disteso su una delle mie sedie in giardino, mi guarda, miagola, mi spiega il significato della vita. Lo ascolto, stupito, sa tante cose che io non so, alcune me le insegna, altre probabilmente le scoprirò da solo, una parte di esse, invece, non le apprenderò mai. 

È un piccolo genio. Nella sua esistenza, ben più breve della mia, ha imparato tanto, troppo più di me, questo fa sì che io provi nei suoi confronti sentimenti controversi, a volte lo invidio, a volte lo ringrazio della sua presenza.

Io e lui, scontro tra le specie, parliamo, ci raccontiamo, ci confrontiamo e cerchiamo di capire l’universo che ospita entrambi. Spesso, lui conforta l’angoscia che m’invade, una zampa sulla spalla, io ricambio con qualche carezza e un po’ di tonno, anche se so che non ha bisogno né dell’una, né dell’altra, che a casa sua cibo e coccole non mancano mai. Viene proprio per me, il felino dai mille nomi, e per questo innominato, oggi lo chiamo Fausto, chissà perché, misteri della mia mente, connessioni che a volte non capisco e alle quali, non penso più di tanto. 

Questa mattina, appena arrivato, ha esordito raccontandomi di un nostro vicino che, nonostante sia vivo e in forma, è stato dichiarato morto dalla previdenza sociale. Lo ha sentito sbraitare contro l’impiegato dell’ufficio per almeno venti minuti, poi, il silenzio. Adesso lui si chiede, tra una leccata di zampa e l’altra, se per caso l’uomo non sia morto d’infarto.

Lo conosco, tra un attimo comincerà a discorrere sulla morte, sul significato della vita e dell’esistenza, il tutto mentre continuerà a leccarsi. Parlerà fin quando, stanco della mia ignoranza umana, deciderà di andarsene, così si alzerà, salterà giù dalla sedia e attraverserà la siepe che separa il mio cortile dal suo.

Io non parlo, lo ascolto attentamente, mi limito a esprimere i miei pensieri attraverso le espressioni facciali, cercando di godere il più possibile della sua compagnia, il vuoto che lascia dietro di sé quando se ne va, infatti, è incredibilmente grande, la sua partenza mi rattrista, senza contare che mi abbandona puntualmente con una miriade di interrogativi esistenziali aperti, benzina gettata sul fuoco delle mie angosce.

Parla per una decina di minuti senza mai fermarsi, il buon Fausto, dopodiché si lecca le labbra, si alza, si stira, e con un balzo scende a terra, saluta, si dirige verso la siepe, le sirene di un ambulanza ad accompagnare la sua scomparsa attraverso il fogliame.

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