Risveglio, prime luci del mattino, cielo rosso, un pensiero a esplorare altre albe, vissute in altri luoghi, forse, in altri tempi, passati presenti, presenti, passati, sono qui, sono altrove, parentesi di gloria aperte e oramai chiuse, formule matematiche sbagliate, incognite non trovate, il cervello che non smette di pensarci, lambiccarsi algebrico, senza scopo, senza senso, alla ricerca del risultato esatto, alla ricerca di una soluzione all’enigma, chiave dell’esistenza, formula delle formule, troppo difficile far luce, capire, troppo difficile, espressione matematica irrisolvibile, espressione che si disegna sul mio volto, indecifrabile perfino per me che la osservo, viso contro viso, il mio riflesso nello specchio, troppo difficile capire, troppo difficile far luce, sentimenti incomprensibili, il canto di un uccello che interrompe il flusso dei miei pensieri, calcoli che sfumano, numeri che lentamente si cancellano, gesso su una lavagna, lastra di ardesia che torna a essere completamente nera – dovrò ricominciare tutto da capo – penso, alzandomi dal letto.

Apro la finestra, esploro per qualche minuto il giardino, alla ricerca dell’uccello udito poc’anzi, il suo canto, un verso a me sconosciuto, non usuale, molto acuto, stridere di un gesso, spezzato male, sulla lavagna, mi ha incuriosito. Non lo vedo, appoggio i gomiti sul davanzale, il mento sui pugni chiusi, osservo il mondo, lentezza che regna soltanto all’alba, lentezza che regna nel mio cervello, pensieri sconnessi, sono qui, sono altrove, alla ricerca di connessioni, congiunzioni, soluzioni ai miei fallimenti, ricerca di me, ricerca dentro me, troppo difficile far luce, troppo difficile comprendere.

Sospiro, un brivido di freddo percorre il mio corpo nudo, velocemente chiudo la finestra, mi siedo di nuovo sul letto, cerco di buttar giù una sorta di programma mentale della giornata. So con certezza che una parte di me continua a lavorare, silente, cercando di trovare una soluzione agli enigmi che da tanto tempo mi ossessionano, ma cerco di non pensarci, lascio perdere, respiro – non posso controllare tutto quanto, né fuori, né dentro me… – concludo rassegnato, dopodiché mi alzo, vado in cucina, accendo la macchina per il caffè, l’uccello di prima emette ancora quello strano, assurdo verso.

Domeniche che cominciano, e mi trovano così, impreparato, perso in pensieri lontani, alla ricerca di soluzioni a vecchi problemi che non hanno, non avevano, non avranno mai soluzione, animali strani che compaiono all’improvviso, la magia dell’istante vissuto, continuum tra ciò che accade dentro e fuori di me, sono qui, sono altrove, sono oggi, ieri, domani, sempre, e non so che razza di uccello sia, quello che continuo a sentir cantare.

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