La notte, ancora, circolo vizioso infinito, il buio a riempire ogni spazio, silenzio, solitudine che sfuma da una bottiglia di vino vuota, siccità di questi giorni, afa, aria pesante, immobile, staticità ambientale, fisica, mentale, chiudo le palpebre, fuggo altrove, la voce di mia madre risuona nelle mie orecchie, sembra chiamarmi, sospiro, spalanco gli occhi, mi volto, lei è là, di fronte a me, semi nascosta nella penombra della luce, reale come lo sono io, sul viso i segni della sua malattia, morbo che consuma, che logora a poco a poco il corpo, la mente, apre le braccia come ad invitarmi a raggiungerla, ma non ne ho il tempo, in pochi secondi si sgretola, un cumulo di cenere resta sulle mattonelle rosse, a testimonianza della sua presenza, mi inginocchio, faccio per raccoglierla con le mani a conchino, ma proprio in quell’istante, il piccolo ammasso grigio e nero scompare, e io resto così, le ginocchia, i gomiti, a terra, lacrima che scivola sulla mia guancia e cade, devozione verso chissà quale Dio, verso chissà quale entità.
Il mio vicino qualche giorno fa, ha visto un fantasma che vagava per il giardino. Una donna alta, lunghi capelli biondi in testa, una corona di gigli a decorarli, indosso una camicia da notte bianca che la copriva completamente dalle spalle ai piedi, una corda dorata a cingerle la vita, il volto tranquillo, rilassato, i piedi scalzi, le mani congiunte sul petto, camminava lentamente intorno al salice piangente, al fico, al pozzo di pietra, per poi ricominciare il percorso da capo, lo sguardo perso nel vuoto – Sembrava attendere qualcuno, o qualcosa di preciso… – mi ha detto Jerome, l’inquilino dell’appartamento sopra il mio – …brillava, alla luce della luna, come se essa stessa fosse fatta di luce, anzi, sembrava quasi che la luna piena, riflettesse la luce emanata dal suo corpo! Incredibile! – ha concluso, lo sguardo perplesso, forse un po’ impaurito.
Mi guardo intorno, mi alzo, ispeziono minuziosamente il salone, la cucina, il bagno, le camere da letto e poi, il giardino – Sono solo… – concludo, chiudendo gli occhi, forse un po’ triste, certamente più rilassato. Un tocco delicato mi sfiora l’orecchio, proprio in quell’istante, una voce dolce rompe il silenzio pronunciando il mio nome, poi, la mente cede, il corpo si lascia andare, mi sgretolo completamente, di me resta soltanto un cumulo di cenere sulle mattonelle rosse del salone.
Un sospiro smuove l’aria, tuoni, fulmini, temporale improvviso – Un altro pensiero, l’ultimo, che Dio ti accompagni… – sussurra lentamente la voce, poi, di nuovo il silenzio, il cuore dell’universo che riprende nuovamente a battere con regolarità, dopo una pausa lunga trent’anni.