Giorno accartocciato, caldo, capelli scombinati, annodati, bicchiere di limonata stretto nella mano destra, pensieri sudaticci distesi su un’amaca che dondola lenta – Non esiste posizione comoda, quando è il giorno ad esser scomodo… – dice la mia vicina, passando di fianco a me, l’annaffiatoio in mano, a tentar di dare refrigerio ai fiori sparsi qui e là, per il giardino.
Non capisco cosa voglia dire, o forse sì, ma faccio finta di non capire, concedo un sorriso, la guardo chinarsi su alcuni fiori arancioni dei quali ignoro il nome, sento l’acqua cadere sul terreno erboso, chiudo gli occhi, immagino di trovarmi sotto quel getto fresco, percepisco la mia pelle bagnata, sensazione piacevole, refrigerio, trovar conforto nell’illusione del conforto stesso, che si dipana nello sconforto di un giorno come questo, cielo azzurro, sole che non dà tregua, nemmeno un soffio di vento a concedere un effimero piacere. Storie così, di altri inferni, di punizioni inflitte in un giorno di luglio – A chi devo confessare il mio pentimento? A chi devo chiedere perdono? – domando, rivolgendomi a un invisibile interlocutore. Nessuno risponde. Per fortuna. Purtroppo.
La vicina si alza da terra, mi raggiunge, borbotta qualcosa d’incomprensibile a proposito del caldo, con una mano afferra l’amaca, mi da una spinta, saluta, se ne va, dondolio alle sue spalle, scricchiolio di corde che si fonde con il cinguettare di alcuni uccellini, bevo un altro sorso di limonata, ricambio il saluto, ringrazio per la spinta, alzo lo sguardo al cielo, l’azzurro invade il mio campo visivo, universo che precipita, mi avvolge, mi inghiotte, e poi, mi sputa, la maglietta completamente bagnata di sudore, affaticamento mentale e fisico.
Ci son giorni così, il caldo che non dà tregua, nessuna possibilità di refrigerio, nessuna possibilità di conforto, di salvezza, mentre da lontano giungono le voci dei folli bagnanti, che si concedono un giorno di pausa, mare, sole, spiaggia, centinaia di persone incastrate in pochi metri di mondo, pazzie estive, storie così, di altri inferni, ben peggiori del mio. Rabbrividisco.
Ci son giorni così, il caldo che non dà tregua, mi alzo dall’amaca, mi guardo intorno, cerco un angolo del giardino che sia risparmiato dal sole, zona d’ombra, lo raggiungo, mi distendo sull’erba, le mani sotto la testa, chiudo gli occhi, immagino di essere altrove, alta montagna, ghiacciaio, il polo nord, la luna, l’angolo più lontano, buio e freddo di questo assurdo universo, e mi addormento così, e mi perdono così.