Strane ore, queste, che si allungano immergendosi nell’aria umidiccia e appiccicosa di un nuovo agosto, afa che agguanta il collo, lo stringe, respiro che manca, soffocare, che verbo strano, sofferenza e piacere a braccetto, perversioni estive che, all’ombra di un ippocastano, cercano riparo dal sole, caldo torrido che la fa da padrone fin dalle prime luci dell’alba, dita che mi agguantano, premono, io che cedo alla loro stretta, mi lascio andare a un erezione, quasi svengo, eccitazioni inaspettate, fremiti che si rifugiano all’ombra di un ippocastano, brezza lieve, anch’essa calda, a sollevarmi la maglietta, a penetrar dentro i miei pantaloni corti, odio l’estate, che da anni mi seduce e poi, sofferenza, piacere, perversioni che durano un istante, mi abbandona, stagione bugiarda, emblema di promesse non mantenute, svanite, evaporate sotto il sole del meriggio, sfumate, come la vita della lucertola, che distesa su una pietra di porfido, a pochi metri da me, le zampe allargate, il ventre rivolto al sole, si è persa nell’illusione di un piacere caldo, che a tradimento l’ha uccisa, essiccata, gli arti, la coda intirizziti, come certi miei pensieri che si perdono tra le foglie verdi di questo albero immenso, sotto al quale ho trovato riparo, certi miei pensieri, dei quali è meglio non parlare.
Strane ore queste, eccitazione e calma che vanno a braccetto, non so dire quanto la morte mi intimorisca, e quanto, allo stesso tempo, mi ecciti, piaceri strani, ebollizioni, distrazioni, erezioni, oltre l’ultimo respiro, oltre il soffocare, orgasmi invitanti, fruscio di foglie, vibrazioni, fremiti naturali, istinti primordiali, oltre certi pensieri, meglio non andare, meglio fermarsi, cercar di respirare, il battito del cuore che da accelerato, torna ad esser più regolare, la brezza calda che si placa.
Osservo la lucertola morta, intorno a me, intorno a quel che resta di lei, un prato verde che si perde in lontananza, il grande ippocastano sotto al quale ho trovato riparo, è l’unica pianta nel raggio di almeno un chilometro, respiro profondamente, afa, strane ore queste, miraggi surreali, idee malsane, una poiana che vola nel cielo azzurro, gira, gira, gira, e poi, scende in picchiata, sfiora l’erba, torna su, tra gli artigli stringe qualcosa, si allontana velocemente.
Chiudo le palpebre, momenti così, caldo, soffocamenti, piacere, morte, mi lascio andare, mi addormento, odio l’estate, che da anni mi seduce e poi, sofferenza, piacere, perversioni che durano un istante lungo un soffio di vento caldo, mi abbandona, stagione bugiarda, emblema di promesse non mantenute, svanite, evaporate sotto il sole del meriggio, sfumate, come certi miei pensieri, dei quali è meglio non parlare.