Giorni così, code che attraversano lo spazio, decine di persone in fila, una dietro l’altra, un uomo che racconta la sua storia, una donna che ascolta, parole veloci, frasi intrise di sentimento, dolcezza, amore, riflessioni che s’infrangono sulla schiena di un’adolescente, auricolari nelle orecchie – Chissà che cosa ascolta… – mi chiedo, i miei occhi che scivolano sui suoi lunghi capelli biondi – Mia madre aveva i capelli come lei, le scendevano giù lungo le spalle, a raggiungere la fine della schiena, passavo ore ad accarezzarli, a toccarli delicatamente, facendo attenzione, quasi potessi percepire, nonostante fossi ancora un bambino, le sue innumerevoli fragilità… – penso, prima di spostare rapidamente lo sguardo verso due ragazzi che si abbracciano, le mani di lui ad accarezzare la schiena di lei, la testa di lei a perdersi sulla spalla di lui, giorni così, chiudo le palpebre, rivedo altri abbracci, altre mani, altri capelli, la mia vita, salti continui tra il presente e i molteplici ricordi che conservo gelosamente, viaggi veloci, incursioni, agguati frequenti, racchiusi nell’impossibilità di comprendere la differenza tra le cose già avvenute e quelle che stanno avvenendo, infinito presente, sono ovunque e da nessuna parte, vivo ogni momento nello stesso istante, voce di donna che attira improvvisamente la mia attenzione, infrange il corso dei miei pensieri, interrompe il flusso delle immagini nella mia mente, il tono adirato con il quale le sue parole si diffondono nell’aria è accattivante, discute animatamente con un uomo, gesticola con rabbia, non capisco quello che sta dicendo, non capisco la sua lingua, ma la sua bocca mi affascina, i movimenti isterici delle sue labbra, mi attraggono, i suoi denti gialli, le rughe che si formano sulle sue guance, suscitano in me pensieri assurdi, orribili, ricordi di Lovecraftiana memoria, mi perdo nell’oscurità della sua gola, vengo inghiottito, scivolo giù nel buio, fluttuo, tra cellule e carne e sangue, universo parallelo, odio la folla, odio le code, odio le grandi stanze piene di gente, ogni oggetto, ogni parola, ogni espressione, ogni corpo, accende in me confusione, immagini che si sovrappongono, ricordi e pensieri che mi tolgono il respiro, vortice improvviso che mi risucchia, centinaia e centinaia d’informazioni che invadono il mio cervello, frasi che si allungano, catene che mi imprigionano, mentre nel buio scivolo giù, fino a raggiungere il nucleo delle cose, fino a perdermi in un atomo, appaio, scompaio, appaio nuovamente, per poi scomparire ancora, universo che implode, io che torno nel qui e ora, un bimbo che piange, la mamma che lo sgrida, un signore anziano che sbraita contro il governo, giorni così, code che attraversano lo spazio, dirette chissà dove, decine di persone in fila, compreso me, che vorrei essere altrove.