Devo scrivere, ma prima, devo sognare…

Sull’erba, disteso, cerco di riposare, un ragno che cammina sul mio braccio sinistro, l’ho sentito salire sulla mano qualche secondo fa, e adesso, lo vedo muoversi in direzione della mia spalla, la mia pelle chiara a far da contrasto con il suo corpo nero, peloso, come pelose sono le sue zampette, che si muovono con andamento isterico, ritmo oscuro di una danza senza musica, ritmo universale, che si perde tra la mia, la sua esistenza, mentre lo osservo, mentre forse, anche lui mi osserva, un soffio di vento a spettinarmi i capelli – Sto incominciando un nuovo libro… devo per forza tagliarli… è la prassi… – dico a voce alta, rivolgendomi al mio nuovo, peloso, amico, che nel frattempo ha raggiunto il mio petto e lì si è fermato, ad attendere chissà cosa, il mio respiro a cullarne la sosta, dondolio regolare, chiudo le palpebre, lo ignoro, cerco di addormentarmi, di riposarmi per qualche minuto, mentre respiro il profumo dell’erba appena tagliata per mano di Guillaume il giardiniere, che questa mattina, con il suo tosaerba, ha rasato il prato, non erano nemmeno le sette, svegliandomi, la sua mano alzata verso di me, in segno di saluto, nel momento in cui, ancora mezzo addormentato, riportato improvvisamente alla veglia, dal rumore proveniente dal giardino, ho aperto la porta e mi sono affacciato, rigorosamente in mutande, per vedere cosa stesse succedendo, e dire che avevo anche visto l’avviso dell’amministratore del condominio, foglio di carta, con il quale ci avvertiva dei lavori di manutenzione, appeso al cancelletto d’ingresso, informazione finita nell’oblio qualche secondo dopo esserne venuto a conoscenza.

Mattini così, lavori di manutenzione fuori, lavori di manutenzione dentro di me, tagli d’erba e di capelli, un violino zigano che per qualche assurdo motivo mi risuona nel cervello, apro le palpebre, il ragno che continua a sostare sul mio petto, il profumo dell’erba appena tagliata, il vento caldo, il cielo azzurro, nemmeno una nuvola che per sbaglio si trovi ad attraversare il mio campo visivo, e lontano, lontano, molto lontano, il rumore della città, auto, catrame e ruote, sferragliamenti, grida, inquietudini fuori, inquietudini dentro di me, oltre il prossimo presente, un sacco di cose da fare, pagine bianche che attendono di esser riempite, il ragno che scivola lungo il mio fianco, cade a terra, scompare velocemente, io che cerco di individuarlo, senza successo, e poi, torno a guardare il cielo, a focalizzarmi sul mio respiro regolare, tranquillità, velo che mi avvolge, sudario, chiudo nuovamente le palpebre, mi addormento, devo scrivere, ma prima, devo sognare. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *