Ricordatevi di me! By Geco…

Fin dal momento in cui impariamo a scrivere, ci sarete passati tutti, non possiamo resistere alla tentazione di far apparire il nostro nome ovunque. Cominciamo autografando i nostri disegni, poi i fogli che i familiari ci mettono a disposizione per mostrare a tutti quanto siamo bravi, poi giocattoli, effetti personali e quelli di noi dotati di maggior estro e genitori accondiscendenti fino al limite dell’improbabile, perfino i muri di casa. Questo assurdo tic ci segue anche durante l’adolescenza, quando sentiamo la necessità di firmare il diario di un amico o un amica, per esempio. È un tic che evolve con noi, e che muta con il tempo, quando gli amici ci danno un soprannome o un nomignolo, cominciamo fin da subito a sentire l’esigenza di scriverlo ovunque, e abbandoniamo il nome in favore del nostro nuovo Nickname.

La maggior parte di noi, artisti e non, perde questo vizio passati i vent’anni, ma qualche recidivo ogni tanto salta fuori. Li notiamo perché non avendo più niente su cui scrivere il proprio nome o soprannome, si mettono a farlo sui muri delle città, possibilmente nei luoghi più assurdi, con lo scopo di attirare l’attenzione delle persone. 

A volte lo scrivere si trasforma in arte, le lettere si frantumano e diventano a poco a poco qualcos’altro, forme strane, illusioni, disegni assurdi, graffiti piacevoli agli occhi, che possono essere inclusi in quella che viene chiamata street art. Spesso però, l’anonimo egocentrico realizzatore dei disegni, anonimo perché scrivere sui muri delle città se non sono i propri è illegale, artista non è, di conseguenza si limita a scrivere ovunque il proprio nome o soprannome, con gli stessi caratteri, gli stessi colori, in maniera semplice e ossessivamente ripetitiva.

L’anonimo Geco, appartiene a questo ultimo gruppo di persone, artisticamente poco dotate, ma con la voglia di comparire ovunque sia possibile, dai cartelli stradali alle sommità dei palazzi più alti, dai cavalcavia, ai muri delle vecchie fabbriche in disuso, a Roma e in altre città.

L’anonimo Geco l’hanno beccato giorni fa, ed improvvisamente ha perso il suo anonimato. La sindaca di Roma Virginia Raggi ne ha annunciato la cattura con un enfasi tale da illuderci che avesse beccato un importante mafioso, piuttosto che un ragazzino con evidenti manie di protagonismo. Fin dal momento in cui l’hanno preso, ho immaginato i poliziotti che lo hanno arrestato, li ho immaginati curiosi di sapere il perché di tutte quelle scritte. Li ho immaginati simili a quelli che seguono Forest Gump nella sua folle corsa, domandandosi affascinati perché stia correndo. Li ho immaginati tutt’intorno a lui che domandavano – Diccelo, perché lo hai fatto? È una protesta? Un atto di ribellione? – mentre l’altro, con l’innocenza del bambino egocentrico che scrive il proprio nome ovunque, ribatteva – L’ho fatto perché voglio che tutti si ricordino il mio nome!

Ecco io ci rido mentre scrivo questo post, mentre penso a questa scena dell’interrogatorio, mentre immagino questo ragazzo che si arrampica sulla cima di un palazzo per scrivere Geco. È un mondo assurdo, una società assurda, che genera mostri ancor più assurdi. I poliziotti che per un anno cercano di beccare uno che scrive il proprio nome sui palazzi per farsi ricordare da tutti, ma neanche su Topolino si leggono storie come questa.