No, non dirmi che stiamo aspettando un momento migliore, non dirmi che il futuro ci offrirà molto di più del presente che stiamo vivendo, non dar da mangiare a illusioni perdute in angoli bui della mia mente, no, non farlo, ti prego. Lasciami qui, disteso sul divano, agonizzante, a vivere questo giorno stropicciato, come biancheria asciugata al sole e gettata con incuranza nell’armadio. Un bicchiere di vino a coccolare i miei pensieri, che sfuggendo da te, cercano altre forme di felicità, mentre le lancette dell’orologio girano vorticosamente inghiottendo le ore, bruciando il giorno e restituendo ai miei occhi una notte di cenere, con qualche tizzone ancora ardente a far da stella.

Immagino mondi e momenti migliori di quello che stiamo attraversando, ma vedo solo l’oscurità di un niente che non riesco a decifrare, di un qualcosa all’interno del quale non ho voglia di affondare, di perdermi, eventualmente di morire, bevo un altro sorso di vino. No, non ne vale la pena, preferisco il mio presente così com’è. Puoi biasimarmi, se non ho voglia di barattarlo con speranze affisse a impalcature talmente fragili, da cadere al primo soffio di vento? No non puoi, quindi lasciami qui, disteso, due metri di carne e sangue appiattiti su un divano, il solo movimento dovuto al respiro, il braccio che lasciato andare al vuoto, sorregge il bicchiere a due centimetri da terra.

Un cane abbaia in lontananza, il suo latrato arrabbiato, ringhioso, interrompe improvvisamente il silenzio del mondo intorno a me. Pare venire direttamente dall’inferno, posseduto da qualche demone desideroso solo di sbranare un essere vivente. Bevo un altro sorso di vino, qualche goccia rossa scende lungo la mia guancia e si impiglia nei peli della mia barba. Vorrei essere la preda di quel cane in questo momento.

Osservo il soffitto bianco, la sua luce annienta i brutti pensieri, aiutata dal vino che sorso dopo sorso, anestetizza la mia negatività. Devo fare qualcosa, ma non ricordo che cosa, o forse non ho voglia di ricordare. Oggi è un giorno così, un ammasso di ventiquattro ore perdute, che saranno a breve spazzate via dalla mia memoria, trasformate in qualcos’altro, forse in una sensazione di malinconica speranza.

La tua voce si fa spazio tra il latrato del cane, sempre più incazzato e il silenzio. Mi chiedi qualcosa, una risposta a qualche tua domanda precedente, che devo indubbiamente aver ritenuto inutile, visto la velocità con la quale l’ho dimenticata, quasi il suono delle tue parole non fosse arrivato alle mie orecchie, come se i miei neuroni non l’avessero nemmeno percepite. Riformuli, stavolta ti sento, aggressiva, forse più del latrato del cane che nel frattempo si è calmato, come a temere il suono della tua voce. Non ho risposta alle tue richieste, non ho parole da offrirti e non ho voglia di intavolare discussioni per me insostenibili quanto inutili, almeno in questo momento. Mi stringo nelle spalle, bevo un altro sorso di vino, subito dopo appoggio il bicchiere sul tavolino da tè, mi avvolgo in un plaid a scacchi rossi e neri e mi volto, faccia contro la spalliera del divano, come per addormentarmi, come ad eliminarti dal mio presente, cercando rifugio in un altrove migliore, sperando di non ritrovarti al mio ritorno.

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