Ritorno alla vita, con dolori alla schiena e un forte mal di testa. Afferro il telefono appoggiato sul pavimento – Cose da fare nel prossimo futuro, comprare un divano più comodo… – dico, rivolgendomi al microfono e registrando una nota vocale. La mia attenzione si focalizza sul numero di note salvate, quattrocentocinquantadue, mi gratto la testa – Ma quante cazzo di cose ho registrato? – mi chiedo, scorrendo l’elenco per risalire alla prima nota, inserita più di cinque anni fa, quando abitavo a Chicago. L’ascolto – Domani mattina vai a comprare il letto… – dice la voce di un me che non esiste più da tanto tempo. Sorrido, mi alzo e mi dirigo in cucina per preparare il caffè, mentre osservo l’appartamento dove vivo, pieno di mobili, oggetti, piante. L’ascolto di quella nota vocale, ha riportato alla mia mente i ricordi del mio primo periodo di vita a Chicago.
Prima di trasferirmi, presi in affitto un appartamento in un Residence a pochi minuti dal Campus dell’Università. Scelsi quel luogo, per la vicinanza con il lavoro, la presenza di un piccolo supermercato e la piscina olimpionica all’interno dell’edificio, ma soprattutto, perché godeva di una meravigliosa vista sul lago Michigan. Non trovandomi su suolo americano e organizzando tutto tramite internet, già sapevo che avrei dovuto sopravvivere in un appartamento vuoto, almeno fino a quando non fossi andato a comprare il necessario. Così, al mio arrivo nella Windy City, mi ritrovai all’interno di un grande stanzone deserto, al trentanovesimo piano dell’edificio, davanti a me, quell’incredibile distesa d’acqua che si perdeva lontano, all’orizzonte. Liberai il mio gatto Siamese Murdoch, aprii le valigie, sistemai i vestiti nell’armadio e distesi per terra, sulla moquette, in un angolo della stanza vicino alla grande vetrata, il sacco a pelo che mi ero portato dietro, per sopravvivere ai primi giorni senza mobili. Avevo già previsto di recarmi a comprare tutto il necessario durante il primo week end, tuttavia, un po’ per la fatica da jet-lag, un po’ per lo stress dovuto al grande cambiamento, quel fine settimana preferii oziare e posticipai gli acquisti a quello successivo. A quel punto la mia personalità prese il sopravvento e un week end dopo l’altro, mi ritrovai a vivere in un appartamento completamente vuoto, vittima del mio continuo rimandare gli acquisti. C’erano la cucina, qualche stoviglia acquistata al supermercato sotto casa, la lettiera di Murdoch, il sacco a pelo per terra, libri, articoli scientifici, fogli di appunti sparsi ovunque e in un angolo, accumulati in una grande e improbabile piramide, le copie del Wall street Journal che mi venivano recapitate ogni mattina, probabile regalo involontario del precedente inquilino che, trasferitosi, non aveva provveduto al cambiamento di indirizzo dell’abbonamento. Lavoravo un sacco, nel dipartimento di Neuroscienze dell’università, rientravo, spesso con una pizza, un panino o qualcosa da asporto preso al ristorante cinese, mangiavo sul piano cucina e passeggiavo un po’ per la stanza vuota, dopodiché mi distendevo sul sacco a pelo, il gatto sul petto, il computer acceso su qualche serie televisiva, fin quando non mi addormentavo e il giorno successivo il tram-tram ricominciava. La svolta arrivò quando guardando la prima stagione di True-Detective (2014), vidi Matthew McConaughey, il poliziotto un po’ strano, depresso, alcolista, pessimista, nichilista, misantropo e mentalmente instabile, mostrare a Woody Harrelson, il poliziotto, diciamo più “normale”,il suo appartamento completamente vuoto, libri e scatoloni sparsi ovunque, ad arredarlo solo una cucina e un letto. Ai miei occhi fu una scena molto deprimente, perfino quel disadattato di Rust (il personaggio interpretato da McConaughey) aveva un letto. Così guardando sconsolato il mio appartamento, molto simile a quello del film, registrai la nota appena ascoltata.
Sorrido, scuoto la testa, ovviamente il giorno dopo, nonostante i buoni propositi, a comprare il letto non ci sono andato. Passarono mesi prima che decidessi di rimediare alla mancanza. Verso il caffè nella tazzina e mentre lo bevo, prendo nuovamente il telefono in mano, cerco le note vocali, individuo quella del divano, la cancello – Vaffanculo! – penso e mi accingo a preparare un altro caffè.