A volte provo odio, un forte odio, quel sentimento oscuro, non so se lo conoscete, che sale su dalle viscere, dagli angoli più antichi, arcaici, primitivi, della nostra mente, del nostro corpo. Arriva così, quando meno me lo aspetto, come un parente, che improvvisamente ritorna dopo un viaggio in una terra lontana. Nasce così, apparentemente senza un motivo preciso, anche se indubbiamente è il risultato di un processo inconscio che sfugge alla mia analisi critica, un qualcosa che si accende in me, in seguito a un ricordo o a un avvenimento apparentemente senza importanza. Si manifesta come il suono di un tamburo rituale, colpito con ritmo ossessivo, a produrre un rumore sordo, angosciante, tetro, invadente, che va a disturbare le normali frequenze del mio battito cardiaco. È come se dentro di me, un’intera tribù di indigeni, si muovesse furtiva. Uomini con in mano armi rudimentali, che spostandosi nella foresta della mia mente cercano di raggiungere la mia coscienza, di prendere il comando delle mie azioni, gridando a gran voce – Anche noi esistiamo! Vogliamo uscire – mentre il suono dei loro strumenti rituali, si fa sempre più forte e riempie le mie orecchie.
Di solito questi agguati, avvengono nelle prime ore del mattino, nel momento in cui apro gli occhi all’universo. Accerchiato, impaurito, sconvolto, cerco di scappare alla cattura, alla potenza di quegli istinti primordiali e, completamente nudo, giro per la casa alla ricerca di un riparo, un posto dove nascondermi dagli sguardi terribili di quegli indigeni senza tempo, dalle loro ombre inquietanti che si proiettano davanti ai miei occhi ancor prima che i loro corpi si siano materializzati dinnanzi a me. Dolore allo sterno, giramento di testa, brividi di freddo che salgono su dai piedi nudi, a contatto diretto con le mattonelle fredde, lungo le gambe. La peluria si raddrizza, i fremiti aumentano, la paura sale.
Mi infilo in uno degli armadi e là nel buio, chiudo gli occhi e trattengo il respiro per non farmi sentire. L’odore di lavanda si fa strada all’interno delle mie narici, il profumo di pulito, di detersivo, di capi appena lavati, mi circonda improvvisamente. Sento gli indigeni muoversi intorno a me, all’interno della stanza, furtivi, guardinghi. Posso percepire il loro respiro, il rumore dei loro cuori, perfino l’energia negativa che si propaga nelle loro vene. Rilasso il mio corpo, cominciando dai muscoli del viso, fino ad arrivare alle dita dei piedi, svuoto la mente, mi concentro sull’istante presente, dimenticando ogni cosa del mio passato, arrestando ogni previsione sul futuro. Interrompo l’attività dei miei sistemi sensoriali, divento involucro vuoto, aperto all’universo. Il suono dei tamburi si fa meno invadente, i rumori un tempo forti e cupi si attenuano, trasformandosi in fruscii sempre più impercettibili e successivamente in silenzio. Il battito del mio cuore torna a farsi sempre più regolare.
Apro gli occhi, respiro profondamente e con un balzo, esco fuori dall’armadio. Di fronte a me il grande specchio, a riflettere le mie nudità, me stesso contro me stesso, in un confronto grottesco senza precedenti. Nessun indigeno, nessun agguato, solo io, pensieri avvolti in un involucro di carne e sangue. La calma è tornata, l’odio sopito, mi guardo riflesso nello specchio, se non riprendo a fare un po’ di attività fisica, con questo confinamento, divento un bidone!
P.s. in un giorno dedicato alla lotta contro la violenza verso le donne, mi è sembrato più interessante dare un input, invitare alla ricerca di modi per placare quella rabbia, quell’odio, quella violenza, che a volte sentiamo dentro e che ci portano a far del male agli altri causandone la sofferenza, il dolore, nel peggiore dei casi, perfino la morte.