Sul desiderio di ritrovarsi…

Qualcosa del sognarti, resta con me al momento del risveglio, in quel mio stringere il niente tra le dita, in quel mio tentativo di afferrar quel tratto di te che non ho mai compreso. Apro gli occhi e puntualmente, mi ritrovo coi pugni chiusi, i muscoli delle braccia contratti, il cuscino di fianco a me deformato. Sei sparita, ancora.

Mi guardo intorno, ho lo stomaco in subbuglio e la bocca impastata, il sole non accenna ad arrivare, la notte buia, spettatrice del mio improvviso ritorno alla vita, ancora una volta. C’è la luna, non so se sia piena, crescente, calante, ma fa un sacco di luce. Mi alzo, raggiungo la finestra, scosto la tenda e guardo fuori. La luce riflessa dal nostro satellite naturale, fa brillare la ghiaia posta a mo’ di sentiero attraverso il giardino, in direzione del cancello d’ingresso. Quando vedo quelle piccole pietre illuminarsi così, quasi fossero diamanti preziosi, il mio pensiero va immediatamente alla fiaba Le petit poucet (Pollicino, 1697), dove il piccolo Pollicino, le usa per ritrovare la strada di casa e mi chiedo, inevitabilmente, se quella non sia la via anche per ritrovare me stesso, per uscire da questa foresta intricata all’interno della quale mi trovo e giungere così alla strada principale.

Indosso la tuta e un paio di scarpe, pensando al piccolo eroe della favola di Charles Perrault, lo specchio di fronte a me riflette un’ombra di più di due metri d’altezza, sorrido e mi dirigo verso la porta scorrevole che da sul giardino. La apro, l’aria fredda invade la stanza, il mio corpo risponde rabbrividendo, mentre tiro su la cerniera della felpa e mi metto in testa il cappuccio.

Esco in giardino e lentamente, comincio a percorrere il sentiero di sassolini bianchi, mi immergo completamente nel personaggio, come se veramente stessi seguendo la strada per tornare alla mia vera casa. Intorno a me nessun rumore, fatta esclusione per qualche fruscio inquietante, che proviene dalla siepe che circonda il prato e il rumore dei sassolini che si assestano ad ogni mio passo.

Da uno dei rami del fico, si alza in volo un’ombra scura che si allontana all’orizzonte, la pianta vibra per qualche secondo, braccia rinseccolite salutano il cielo. Continuo a camminare, quasi stessi facendo un percorso mistico per raggiungere il prossimo stadio evolutivo, come se stessi abbandonando il sentiero sperduto e difficile, in favore di una via più battuta e sicura.

Passo dopo passo, in un momento che dura qualche minuto, ma che percepisco come lunghissimo, esplorando la notte e i suoi rumori, il prato, gli alberi, la siepe, raggiungo il cancello. Sento l’emozione salire, quasi fossi in procinto di attraversare il portale per un’altra dimensione, come se realmente stessi seguendo il cammino per ritrovare me stesso. Premo il pulsante di apertura, il clang caratteristico della serratura elettronica, riempie quel silenzio notturno, seguito dal cigolio delle cerniere del cancello. Esco fuori.

Un ratto, enorme, nero, mi taglia la strada, passa sopra le mie scarpe, si dirige verso il buco della fognatura e scompare al suo interno. Ne identifico altri intenti a mordicchiare sacchetti di plastica appoggiati a un cassonetto dell’immondizia poco distante. Anche loro fuggono via veloci, scomparendo tra le ombre della notte.

Deluso torno sui miei passi, richiudo il cancello alle mie spalle e mi dirigo verso la porta di casa, continuando a osservare il mondo intorno a me, avvolto in un manto scuro che non accenna a rischiarare. Rientrato all’interno tolgo le scarpe, la tuta e mi infilo nuovamente nel letto. Chiudo gli occhi, nel tentativo di riposarmi ancora un po’, sperando di non ritrovarti ad attendermi dall’altra parte, nel sonno. In lontananza il rumore del camion dell’immondizia si fa sempre più forte.  

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