Eravamo giovani e ridevamo sempre. Io non ancora trentenne, tu qualche anno di meno. Accadeva ogni giovedì, ma sarebbe potuto succedere un qualsiasi altro giorno della settimana, poco importa adesso, che i giorni si sono appiattiti in un arco temporale lungo da qui all’infinito, poco importava allora, quando il bisogno di nominare e quantificare il tempo era un’abitudine che sfumava al massimo in qualche impegno lavorativo.
Non ricordo dove ci siam visti la prima volta, mentirei se dicessi il contrario, non soltanto perché gli eventi successivi a quell’incontro hanno completamente confuso tutto ciò che esisteva prima, quanto perché, se ti penso, ho la netta sensazione che tu fossi stata presente nella mia vita fin dalla mia adolescenza, cosa pressoché impossibile, visto i chilometri, le differenze d’età e le nostre vite dipanate all’epoca in mondi lontanissimi, completamente diversi.
Mi verrebbe da dedurre che questa strana sensazione sia da associare al tuo modo di essere, a quel sorriso, a quell’ombra che ti faceva somigliare più a un prodotto del cinema della nouvelle vague che a una persona reale, a un personaggio di quei film di Truffaut, Godard, Chabrol, Rohmer, che tanto amavo guardare durante i primi anni dell’università e poi, nel mio primo periodo di vita in Francia. Questo adesso, che riflettendo, colgo a caso immagini distorte di te che riaffiorano da un passato oramai vivente chissà dove, all’epoca invece, ai miei occhi, eri solo una silhouette fine, delicata, ricoperta da una pelle incredibilmente bianca, che creava un contrasto meraviglioso con il rossetto che mettevi sulle labbra. Eri così, eterea, vestita come una ragazza di un’altra epoca, gli occhi accesi di una profonda curiosità, della vita e della morte. Eri un accento francese che non sapevo riconoscere e che poi, mi spiegasti, aveva un’origine belga. Eri un profumo che non ricordo, ma che riconoscerei tra mille se lo sentissi adesso. Eri il ticchettio dei tuoi tacchi sulle mattonelle di Montmartre, quando il giovedì, appunto, correvi per raggiungere al più presto l’appartamento dove momentaneamente abitavo. Eri un pezzo di un sogno, che ancora popola alcune mie notti insonni, quando la mia mente vaga alla ricerca di magie che strizzano il cuore fino a farlo sussultare, e morire.
Arrivavi sempre col fiatone, le guance lievemente arrossate, i capelli, in genere perfetti, scombinati sotto al basco rosso, la borsetta stretta in mano. Ricordo il momento in cui suonavi il campanello, sempre qualche minuto prima delle nove, sempre un secondo prima che la moka cominciasse a borbottare l’uscita del caffè, sotto lo sguardo vigile del ritratto di Rimbaud appeso alla parete, sotto il controllo della grande statua di rame, raffigurante l’uomo di latta del Mago di Oz. Ricordo quel momento in cui il drin caratteristico mi faceva sussultare, riempiendo il silenzio che regnava nell’appartamento e i miei occhi abbandonavano la lettura del quotidiano aperto sul tavolo, per scivolare sul pavimento di mattonelle a esagoni rossi, fino a raggiungere la porta d’ingresso, bianca anche lei. Il mio corpo seguiva quel cammino oculare ad allungare la mano per aprire il battente e poi, poi era il buio sulle scale, conseguenza di lampadine fulminate ripetutamente, era il rumore sordo delle mani che battendo sulla ringhiera in metallo la facevano vibrare, era il ticchettio sui gradini in pietra, era un momento eterno multidimensionale e di conseguenza, multisensoriale, che estendendosi infinitamente nel vortice della tromba delle scale, terminava dietro di te che accennavi un timido – bonjour… – guardandomi negli occhi, sorridendo, cercando di ricomporti.
Ecco del resto meglio non dire qui, forse altrove, ma quando poi, anni dopo, durante un caffè preso al volo nei paraggi di Saint Sulpice, parlammo dell’eventualità di tornare indietro con il cervello più maturo, con le idee più chiare, ecco, ci ho ripensato per anni a quei momenti a quel caffè, e il frutto del mio rimuginare si è poi concretizzato in un: potrebbe essere mai più bello del ricordo effimero che vive perennemente nella mia mente?