Martedì otto dicembre si celebrano i quarant’anni esatti dalla morte di John Lennon, scomparso prematuramente, all’età di quarant’anni, per mano di Mark David Chapman, che gli sparò cinque colpi di pistola alle spalle, con una calibro trentotto, proprio davanti l’ingresso della sua residenza di New York, il Dakota Building. Dei cinque colpi sparati, quattro solamente raggiunsero Lennon e solo uno di essi, quello che perforò l’aorta, fu mortale. Lennon percorse qualche passo in direzione della guardiola d’ingresso – I’m shot, I’m shot – disse, gli occhi esterrefatti di Yoko Ono, del guardiano e di un tassista poco distante a guardarlo, poi stramazzò a terra, privo di sensi.
L’assassino, subito dopo aver freddato l’ex membro dei Beatles si sedette sul marciapiede, vicino al corpo, accanto al portale d’ingresso del Dakota, tirò fuori dalla tasca del giubbotto una copia de Il giovane Holden e si mise a leggere tranquillo, aspettando l’arrivo dei poliziotti.
Mi chiedo se in quel momento Chapman, si sia sentito osservato dai numerosi mostri e demoni e riproduzioni zoomorfe in ferro battuto, sparse per tutta la facciata del grande edificio, o se non ci abbia nemmeno fatto caso. Certamente però, la scena, agli occhi di un comune passante che si trovasse in quel momento a passare di là, deve esser apparsa incredibilmente inquietante. Un assassino seduto sul marciapiede intento a leggere un libro, il corpo di un uomo ucciso, steso per terra, e quel tetro palazzo a fare da sfondo. Sembra la scena di un film horror.
Effettivamente a guardarlo bene quell’edificio è davvero angosciante. La freddezza dei colori esterni, le sue guglie, le rifiniture in ferro battuto, lo stile neogotico che lo rende così austero, tetro e il portone, con quel cancello di ferro nero, ingresso più adatto all’accesso di un cimitero che a quello di uno dei palazzi più esclusivi dell’upper west side di Manhattan, fanno si che la costruzione voluta da Edward S. Clark, il fondatore della Singer, sembri quasi un castello dei Carpazi.
Probabilmente è proprio per questa somiglianza che Roman Polanski, reduce dalla regia di The fearless vampire killers (Per favore non mordermi sul collo, 1967), lo scelse come set di Rosemary’s Baby (1968), capolavoro del genere horror tratto dal libro di Ira Levin, interpretato da Mia Farrow in una delle sue primissime apparizioni e dal grande regista e attore John Cassavetes.
Il Dakota Building nella pellicola di Polanski, assume il ruolo di personaggio principale, contenitore di segreti tetri e oscure credenze. Luogo di residenza del male a New York, luogo all’interno del quale, niente di meno che Satana si presenta, invocato da uomini facoltosi che ne praticano il culto. Non vi racconterò la storia del film, perché è uno dei capolavori del cinema e non voglio togliervi il gusto di vederlo. Vi lascio invece davanti al Dakota, dodici anni dopo Rosemary’s baby, Chapman seduto sul marciapiede a leggere Salinger, Lennon steso a terra, morto, qualche passante che osserva curioso e non capisce, volti mostruosi a fare da sfondo, a scrutare il mondo nel loro diabolico silenzio e dietro alcune tende in velluto rosso, forse, il male, che non smette mai di insanguinare le vite degli uomini.