Taglio quelli che chiamiamo gli odori: cipolle, sedano, carote e mi accingo a preparare il ragù per le tagliatelle. Pasta fatta in casa questa mattina, ai primi raggi del sole. Sul piatto del giradischi Fabrizio de André canta la storia di un’impiegato, fuori il cielo è di un azzurro magnifico, fa abbastanza caldo ed ho aperto quasi tutte le finestre per arieggiare un po’ la casa.

L’odore del soffritto invade le mie narici e mi trasporta in passati remoti, fine settimana lenti, nella mia lontana campagna toscana, là dove sono nato, cresciuto e morto, un attimo prima di partire, più di dieci anni fa. Chiudo gli occhi, rivedo i miei cipressi, le colline verdi, l’Arno che si muove sornione, gli olivi e tu, margherite disperse tra i lunghi capelli castani.

Sorrisi dispersi nella campagna, profumi che si sono mescolati a migliaia di altri odori, smarriti nel vento, giunti chissà dove, lontani da me. Colori un tempo nitidi e ben definiti che a poco a poco si sono sbiaditi, tratti che lentamente scompaiono, ho bisogno di ritrovare la strada di casa, ho bisogno di tornare.

Oramai sono quindici mesi che non rientro in Italia, è il periodo più lungo che abbia mai vissuto lontano dalla mia terra e questo a volte, per non dire spesso, fa male, rende malinconici i miei sogni, tristi i miei risvegli. 

Certo è stato un periodo intenso. Diviso come sono stato tra la bambina,  il lavoro e gli eventi che si sono dipanati giorno dopo giorno, a volte non ho avuto nemmeno il tempo di riflettere riguardo questa distanza. In queste due settimane di festa però, il miraggio dovuto alla lontananza si è fatto più intenso, uno schiaffo forte sulla guancia che mi ha lasciato uno strano rossore.

Verso il macinato nel grande pentolone, lo lascio rosolare, lo giro con il mestolo di legno. Faccio sfumare un po’ di vino rosso, dopodiché ne verso nuovamente nel bicchiere appena svuotato e lo bevo, uno per il ragù e uno per me è la regola che rispetto ogni volta che preparo il noto sugo di carne.

Il telefono squilla improvvisamente, si crea una dissonanza terribile in contrasto con il meraviglioso arpeggio de il  bombarolo. Non guardo il nome di chi cerca di raggiungermi, non rispondo, lascio cadere nel vuoto la chiamata, impossibile per me interrompere il processo culinario. La seconda regola che rispetto: sono un uomo, non faccio mai più di una cosa per volta, altrimenti mi vengono male.

Lo squillo si interrompe, il telefono si calma, la musica proveniente dal giradischi torna ad occupare la totalità del vuoto delle mie stanze. Continuo a cucinare, malinconia, tristezza, pensieri, ricordi, si mescolano con gli ingredienti, con gli odori. Questo ragù verrà terribilmente buono, ne sono già sicuro, ancor prima di averlo assaggiato. Il cuore batte forte. Tornerò, a breve tornerò.

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